Atlante molla le banche venete, un’altra grana per il governo
01 Giugno 2017
Una nuova spina nel fianco per il governo Gentiloni, dopo Alitalia, e con una campagna elettorale che sembra ormai alle porte. Parliamo della partita con l’Ue sul salvataggio delle banche venete. La trattativa tra le Autorità italiane e la Commissione di Bruxelles per la ricapitalizzazione precauzionale dei due istituti si è arenata, infatti, sulla richiesta di un intervento preventivo e aggiuntivo di risorse private, per oltre un miliardo, per poter dare poi il via libera all’intervento pubblico.
Chiaramente di privati che mettano un miliardo per le banche non c’è traccia. Il fondo Atlante non spenderà altri soldi: lo ha messo nero su bianco il presidente di Quaestio, gestore dei fondi Atlante 1 e 2, che a Veneto Banca e Popolare di Vicenza ha inviato un messaggio chiaro: dopo aver investito già 3,5 miliardi “non ci sono allo stato le condizioni per qualsiasi ulteriore investimento”. “Le tante incertezze” che gravano sui due istituti, spiega Quaestio, “impediscono di fatto una decisione per qualsiasi investitore responsabile”.
L’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, la banca che con Unicredit ha investito di più tra Atlante I e II – circa 1 miliardo tra versati e impegnati per i due fondi -, ha ribadito che “gli investitori privati hanno già perso molti soldi”, e ha esortato le autorità europee a permettere al Tesoro di iniettare rapidamente i soldi in Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Secondo la banca di Vicenza i tempi sono “strettissimi” ed è necessario che il governo chieda all’Ue di accelerare. “Stiamo lavorando. Il boccino è in mano al governo”, ha precisato una fonte.
Dalla Ue, una fonte interpellata da Reuters ha fatto sapere che se non ci sarà un accordo “entro fine giugno” tra Roma e le autorità europee sulle venete, si procederebbe con il ‘bail-in‘, che coinvolgerebbe nel salvataggio obbligazionisti e depositanti sopra 100mila euro. Ma al momento, per evitare il bail-in ci sono solo due strade: trattare con la Ue per ridurre la richiesta di capitale privato, e trovare soggetti privati disposti a investire. Insomma, lo spettro bail in è più vivo che mai, ed i costi economici, sociale e politici che porterebbe con sé sono tutt’altro che ininfluenti, soprattutto con una campagna elettorale alle porte dove è più facile prendere tempo che prendere decisioni scomode e a volte impopolari ma risolutive.
Un’ultima cosa. Nei giorni scorsi, il Financial Times ha offerto un ritratto in chiaroscuro per l’economia italiana, che quest’anno, nella migliore delle ipotesi, crescerà solo dell’uno per cento, ultima tra le grandi economie europee. Ebbene, il giornale finanziario ha messo in guardia proprio da eventuali nuove brutte sorprese nel settore bancario – dopo Monte Paschi e il caso Etruria, i radar sono ancora puntati sul nostro sistema del credito – in grado di dissolvere quel minimo di ripresa, dal mercato immobiliare all’export, che inizia timidamente a manifestarsi dopo anni di promesse roboanti sulla “ripresa”.