“Attenti a chi usa Anders Breivik per demonizzare l’avversario”

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“Attenti a chi usa Anders Breivik per demonizzare l’avversario”

26 Luglio 2011

Dopo aver rischiato il linciaggio, Anders Behring Breivik è apparso dinanzi ai giudici dicendo che non è solo. Altre due cellule sarebbero coinvolte negli attacchi, parte di una costellazione più vasta. Forse sta mentendo ma gli investigatori non escludono questa pista gettando nello scompiglio il mondo delle nuove destre nord-europee: una nicchia minoritaria, antislamica e pro-israeliana, che dal PVV olandese arriva alla English Defense League. A queste forze guardava Anders Breivik nel suo delirio. Ma lui è un uomo afflitto da una grave distopia omicida. Le questioni poste in gioco da Wilders e soci – la crisi della società multiculturale oppure le problematiche demografiche generate dall’immigrazione musulmana in Europa – non sono solo una "follia". Ne abbiamo parlato con il sociologo Massimo Introvigne, Rappresentante dell’OSCE per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione religiosa.

Professore, Anders Breivik è il nuovo protagonista di un "Bowling a Columbine"?

No, questo non è il caso Columbine. Somiglia più al caso di Oklahoma City. Breivik aveva un obiettivo preciso, colpire il partito laburista norvegese che avrebbe dovuto essere seguito da altri, anche in Italia, il Pdl, il Pd, l’Idv, l’Udc… un piano accurato, con millecinquecento pagine alle spalle (il libro 2083, la Dichiarazione d’Indipendenza dell’Europa, pubblicato dal killer su Internet, ndr.). Siamo davanti a un personaggio che può contare su una cerchia di amici e che viene preso sul serio, direi perfino stimato, sui blog dell’estremismo anti-islamico.

Addirittura stimato

Proviene da una buona famiglia, non si è laureato ma ha frequentato un liceo della elite ed è un uomo di vaste anche se disordinate letture. Vive le sue idee in modo paranoico e patologico, come tutti quelli che compiono stragi del genere, ma da un punto di vista ideologico siamo di fronte ad un progetto chiaro e supportato da una lunga frequentazione culturale di ambienti peraltro molto disparati.

Ha spedito il suo memoriale ai "Veri Finlandesi", cercava sponde nel PVV olandese di Geert Wilders, ha elogiato la English Defense League…

E’ stato candidato alle elezioni municipali per il Partito del Progresso norvegese.

Ecco, appunto. L’English Defense League è sicuramente un movimento di strada dai tratti populisti e anti-islamici, penso alle marce di Luton, ma non si è mai macchiato di crimini gravi. Ieri l’EDL ha inviato un comunicato prendendo le distanze dal gesto di Breivik. Wilders lo ha definito "uno psicopatico". Le chiedo: di quale parte dello spettro politico stiamo parlando? C’è un collegamento con Utoya?

Mettiamola così: Breivik non è un cristiano fondamentalista né un neonazista. Nel primo caso, per capirlo, oltre a qualche accenno di vita scollacciata (la escort da duemila euro) basta il suo grande radicamento nella tradizione massonica, confermato dalla stessa massoneria regolare e maggioritaria norvegese quando lo ha espulso due sere fa (e se lo ha espulso significa che lo rispettava come un membro delle logge). Voglio dire, nessun fondamentalista cristiano sarebbe mai un massone. L’altro errore è quello di classificarlo come un neonazista in quanto Breivik è un avversario formidabile del nazismo – è vero che era iscritto a un forum di nazisti ma lo faceva solo per "convertirli" alla sua causa – convinto che il vero crimine di Hitler sia stato quello di non capire che l’espressione più alta della razza occidentale sono gli ebrei.

Che razza di visione distorta dell’ebraismo è questa?

Breivik è affascinato da una vecchia tradizione esoterica ottocentesca che può aver sicuramente orecchiato nella massoneria norvegese, secondo cui gli scandinavi sarebbero gli eredi delle celebri tribù perdute di Israele, in particolare quella di Dan che avrebbe dato origine alla Danimarca. Il nostro uomo si colloca in una nicchia ultra-minoritaria che è fortemente anti-nazista e filo-israeliana ed effettivamente le marce di Luton che ricordava lei prima rientrano nella nostra discussione. Ci rientrano in modo fantasmatico, però, perché Breivik, con il suo modo di esprimersi, poteva avere successo solo nel mondo chiuso del web. Per lui il nemico assoluto è l’islam e per combatterlo serve una coalizione che tenga dentro tutti.

Tutti chi?

Sono Rappresentante OSCE e nel mio portafoglio ci sono i rom. Ebbene, c’è un aspetto che mi ha colpito nella storia di Breivik. Di solito l’estrema destra odia i rom, lui invece non lo fa, anzi sottoscrive una teoria (anch’essa minoritaria) secondo cui i rom sarebbero stati resi schiavi in epoca Mogul e trasformati in quello che sono dai musulmani, teoria a cui evidentemente crede soltanto lui. Attribuire questo crimine ai musulmani, addossando sulle loro spalle le peggiori pagine della storia, è strumentale, serve a trovare un nuovo alleato nel fantomatico progetto di questa Europa neo-templare: nel continente liberato dall’islam anche i rom avranno finalmente diritto ad uno stato tutto loro. Il gesto di Breivik non è stato irrazionale ma al contrario si inserisce in un progetto in cui, secondo lui, facendosi odiare, lasciando che la gente comune lo consideri un mostro, un terrorista crudele e disprezzato da tutti, riuscirà nell’impresa di risvegliare i popoli europei contro "Eurabia".

Il Corriere della Sera di ieri ha pubblicato una foto di Bin Laden accanto a quella di Breivik. Non le sembra una forzatura?

In parte un nesso c’è perché è chiaro che Breivik si presenta come l’avanguardia dell’antislamismo così come Bin Laden si presentava come l’avanguardia dell’islamismo. Breivik usa Bat Ye’Or, Pipes e i neoconservatori americani ma tutto questo moltiplicato per cinque ed elevato all’ennesima potenza: combatte un islam immaginario pensando di dover difendere un ebraismo immaginario, ma il suo "ebraismo" è quello del colono che ha sparato nella moschea, quello della Lega di Difesa Ebraica del rabbino Kahane, una religione in cui la maggior parte degli ebrei non crede assolutamente. In visioni del genere sembra che gli ebrei siano venuti  al mondo solo per sparare sui musulmani quando sappiamo che non è così.

E allora a chi giova l’accostamento con il defunto capo di Al Qaeda?

Potrebbe essere il risultato di un’interpretazione scorretta fatta da una certa stampa di sinistra: dal momento che gran parte del libro di Breivik è un’antologia, allora tutti gli autori che lui ha citato nel memoriale, penso al filosofo Roger Scruton, diventano dei terroristi. Seguire questo ragionamento è fuorviante: il fatto che Breivik viva in modo paranoico e patologico il problema dell’eccesso di immigrazione islamica, con i suoi risvolti di sicurezza e demografici, non ci deve portare a dire che questo problema non esiste.

Breivik è un nazionalista? Cosa sogna? Una piccola patria protetta dai ghiacci?

In realtà parliamo di un soggetto che si sottrae fortemente a tutte le letture che comportino un "labeling". Se la prende con il nazionalismo norvegese, sostiene che la sua vera patria non è la Norvegia ma  l’Occidente e che in questo momento storico l’epicentro del mondo occidentale è lo Stato minacciato di Israele, una grande Europa con qualche riserva sugli Stati Uniti. Breivik ha detto esplicitamente che il nazionalismo è un’ideologia finita nell’epoca della globalizzazione. La sua è sicuramente un’ideologia di nicchia ma è condivisa, in forma non patologica, da molte persone.

Possiamo continuare a difendere le ragioni dell’Occidente dopo Utoya?

Probabilmente anche Roger Scruton nel suo Paese riceverà accuse del genere, di essere stato una specie di mentore di Breivik, ma il fatto che qualcuno viva delle problematiche storiche sociali e religiose in una forma che scade nel patologico, com’è accaduto a Breivik, non vuol dire che non ci siano i problemi a cui accennavo prima. Non è vero che tutti i musulmani la pensano come Bin Laden, non è vero che tutti coloro che affermano che c’è un problema con l’islam e l’immigrazione si comportino poi da assassini. Il pericolo è un altro: che ogni volta che qualcuno commette una follia come quella di sabato scorso essa viene immediatamente usata dall’estremo opposto dello spettro ideologico per demonizzare l’avversario.

Testimoni affermano che sull’isola di Utoya c’era una seconda persona con Breivik.

La sociologia c’insegna che la gente ricorda eventi convulsi e drammatici in modo molto inaffidabile. Può darsi che qualcuno, di fronte all’ubiquità di Breivik, abbia pensato che ci fossero due persone. Ieri hanno arrestato anche un venditore di fertilizzanti in Polonia, ma non aveva niente a che fare con quanto è accaduto ad Oslo.

Breivik è un lupo solitario?

Direi al cinquanta e cinquanta. Quando inizia a raccontare dell’ordine neo-templare che avrebbe fondato nel 2002, scrive che si tratta di una narrazione simbolica, una finzione. Ma strizza l’occhio al lettore dicendogli "non saprai se questa storia è vera oppure no" ed offre tutta una serie di dettagli molto precisi che lascerebbero intendere che qualcosa di vero ci sia. E’ possibile che Breivik si sia incontrato con altre persone che condividevano le stesse "utopie", o distopie, ma che poi solo lui le abbia messe in atto.

Che dire della polizia norvegese?

E’ il contraccolpo o lo choc en retour di un Paese che si è sempre considerato un’isola felice, dove la polizia gira senza armi, dove non ci sono i terroristi, dove ci possiamo permettere anche il mullah Krekar a piede libero tanto da noi non succede mai niente… L’Italia impiega soldi e risorse per il monitoraggio continuo dei gruppi e degli estremisti che operano su Internet, la Norvegia fa relativamente poco. D’ora in poi lo farà perché nell’epoca della globalizzazione non ci sono più le isole felici: la Svezia l’ha scoperto con l’assassinio di Olof Palme, la Norvegia con la strage di Utoya.

Non è un finale rassicurante.

Ci sono più cose al mondo di quanto i giornali non sospettino.