Attenzione alla moratoria sulla pena di morte ( e non solo)

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Attenzione alla moratoria sulla pena di morte ( e non solo)

07 Gennaio 2008

Ricevo e pubblico molto volentieri una lettera sulla questione della pena di morte e in particolare della moratoria votata dalle Nazioni Unite con gran fanfara mediatica e politica. Chi scrive la lettera sa il fatto suo: la moratoria sulla pena di morte – ma lo stesso vale per altri tipi di moratoria, come quella sull’aborto proposta da Giuliano Ferrara – non può essere chiesta facendosi nemico chi applica la pena di morte (o l’aborto) in forza di una legge democraticamente approvata e ampiamente sostenuta e con ogni possibile garanzia contro il suo abuso. Non si può dunque combattere la pena di morte facendosi nemici gli Stati Uniti, per poi vedere che l’Iran impicca sette persone quasi a festeggiare l’approvazione della moratoria.

La pena di morte come l’aborto non piace a nessuno, ma anche le guerre simboliche o le provocazioni più giuste vanno fatte con moltissima attenzione…

Caro
Direttore,

 

Negli
anni novanta mi sono occupata della campagna per la moratoria della pena di
morte. Ne ho costruito le basi, trovato i finanziamenti, progettato campagne,
curato la comunicazione. Ho affermato, come si dice, il marchio Nessuno tocchi
Caino partendo da zero. Dopo pochi mesi dalle prime iniziative in Italia sono
sbarcata negli Stati Uniti, paese che amo profondamente, e dove sognavo da
giovanissima di trasferirmi per andarci a vivere. Ho conosciuto invece
l’America girando tra le strade di New York, il Palazzo di Vetro dell’Onu e le
Università americane per organizzare convegni abolizionisti e fare lobby a
favore della moratoria delle esecuzioni capitali. Ho poi viaggiato attraverso
il resto dell’America andando per galere. Il Texas, la Florida, Chicago,
l’Illinois sono state alcune delle tappe. Sono entrata nei bracci della morte
di mezza America, compreso quello di Dead Man Walking, ho conosciuto detenuti,
alcuni dei quali oggi sono morti, altri sono stati rilasciati perché innocenti
dopo vari anni di detenzione, altri sono ancora lì. Ho fatto amicizia con
direttori di carceri, famigliari delle vittime e parenti dei detenuti,
militanti abolizionisti, avvocati, giornalisti, illustratori che disegnavano la
pena di morte per la mia rivista, artisti, gente comune che veniva alle
manifestazioni durante le esecuzioni con cartelli pro o contro la pena
capitale, familiari delle vittime e familiari dei condannati che andavano in
abito scuro ad assistere alle esecuzioni e poi tenevano conferenze stampa dopo
l’esecuzione, gente desiderosa di giustizia per avere perso i propri cari,
persone straziate dal dolore per la perdita di figli colpevoli, o di figli di
cui non si stancavano di dichiarare l’innocenza. Insomma ho conosciuto
l’America della pena di morte. Eppure non ho smesso di amare l’America e di
sognare di alzarmi la mattina e respirare l’aria dell’Oceano e di New York. Ho
smesso di occuparmi attivamente della campagna abolizionista nel 2000 per
ragioni diverse. Oggi guardo a quanto è accaduto all’Onu. Un risultato storico.
Eppure giocato male. Ci sono state troppe coccarde in giro. Troppi meriti
autoreferenziali all’italiana. Ho pensato: perché non riunire i più diversi
testimoni della pena capitale nel mondo, a partire dalle persone che la vivono
tutti i giorni, e portarli a parlare davanti alla stampa internazionale. Cosa
ne pensano i detenuti americani che sono in attesa di esecuzione? Cosa ne
pensano gli abolizionisti americani? Cosa ne pensano i cittadini americani? Per
esempio. Le Nazioni Unite sono un’organizzazione bisognosa di riforme. Spesso
proclamano cose che non hanno un effetto. Eppure sono un palazzo di vetro
attraverso cui si può vedere la realtà di quanto questo nostro fantastico e
disgraziato mondo globale abbia bisogno di restituire il senso del diritto e
dei diritti umani. Ho chiamato al telefono le principali organizzazioni
abolizioniste americane e poco sapevano di quanto era successo alle Nazioni
Unite. Ho guardato i siti dei giornali europei e americani e non c’era quasi
traccia. La prossima esecuzione certa in America è il 24 gennaio in Ohio. Nel
2000 avevo proposto una grande campagna di comunicazione negli Usa, fatta
all’americana. Pragmatica e sognatrice allo stesso tempo e una dura campagna di
denuncia nei confronti di quella pena di morte che in più manca di procedure di
legalità e di democrazia e che erige forche e tira pietre in molti paesi fuori
dall’America. Non si è fatta. Ero stata nelle carceri del Pakistan, a
Rawalpindi e Latore, dove la forca è a vista dalle grate delle celle e i
condannati “vivono” in 2 metri per 3 e dove morire sembra la cosa più bella che
possa capitarti. Il sogno americano è ancora un sogno bellissimo che può
insegnare molto a chi non ha mai avuto la possibilità di guardare il sole
perché vive in celle buie e dimenticate in paesi dove la democrazia non si sa
neanche cosa sia, nemmeno la democrazia della pena di morte, pur con tanti
limiti e ingiustizie da combattere. L’America è comunque paese di libertà. Se
la campagna abolizionista saprà essere amica degli americani potrà convincere
lo zio Sam ad abolire gli ultimi respiri della pena capitale. Perché questa sia
una battaglia che deve parlare la lingua della democrazia e della libertà,
senza conformismi e senza moralismi o presunte superiorità di civiltà
millenarie. E, magari senza troppe coccarde al merito. Altrimenti la storia
delle vite spezzate nelle ex piantagioni americane oggi diventate carceri di
massima sicurezza e in tanti paesi dimenticati e per tante diverse ragioni sarà
storia che continuerà lo stesso con o senza la moratoria dell’Onu. E per questo
dico ancora e sempre Viva l’America, nonostante e malgrado la pena di morte.

 

Alessandra
Filograno