Avremmo dovuto prendere più seriamente la guerra in Libia
18 Aprile 2011
Dopo settimane di bombardamenti, giovedì scorso il Colonnello Gheddafi è tornato a mostrarsi in pubblico a Tripoli, lo stesso giorno in cui Obama, Sarkozy e Cameron s’incontravano per dire che il Rais deve andarsene. La stampa inglese lo accusa di stupri seriali e di aver spedito al fronte ragazzini come le hitlerjugend ma in realtà al Colonnello sono sufficienti le truppe rimaste fedeli per contenere i caccia della NATO e l’insorgenza. Non ci riuscirà in eterno, visto il congelamento dei suoi assetti finanziari e l’isolamento diplomatico (ieri su pressione americana il presidente sudafricano, a nome della UA, ha invitato Gheddafi a lasciare il Paese), ma è una guerra "più lunga del previsto" (lo dice il ministro della difesa francese), e l’assedio medievale di Misurata è un’esperienza che avremmo voluto, ma non abbiamo potuto risparmiarci: la città martoriata, il porto e le zone abitate dai civili colpite con bombe a grappolo e dozzine di missili Grad, mentre i carri armati e i cecchini spianavano la strada alle truppe fin nel centro della città.
Nel weekend, gli insorti hanno ripreso a combattere nel nodo petrolifero di Brega, e in tutte le città rioccupate dal Colonnello dopo la fiammata rivoluzionaria di marzo: Ajdabiya, Jadu, al-Jabal al-Gharbiyah, Kikla, Nalut, Ras Lanuf, Yefrin, Zawiya, Zentan and Zuara. I ribelli non sono addestrati ma resistono, in quella che ormai viene definita una guerra di posizione, con rovesci di fronte ma sostanzialmente immutata nel risultato. La Libia si è spaccata in due, Tripoli con Gheddafi, la Cirenaica contro, seguendo le linee tribali che hanno caratterizzato questo conflitto fin dall’inizio. L’esito potrebbe essere rovinoso come la Somalia oppure anticipare una futura riconciliazione sul modello iracheno, o ancora una secessione come nel sud-Sudan, ma è troppo presto per dirlo, finora si continua a combattere e morire.
Francia e Gran Bretagna si sono lanciate nel conflitto speranzose nell’aiuto degli Usa, fidando della Risoluzione Onu. Ora Parigi dice che serve tempo e Cameron nega qualsiasi intervento terrestre, convinto che quelle onunisiane siano "restrizioni giuste". Obama non ha fatto mancare il suo appoggio all’inizio delle operazioni, ma poi ha ridimensionato l’impegno degli Usa, che comunque continuano a usare la CIA, a rifornire la NATO e a fare "jamming" contro le postazioni radar del nemico. Quando il controllo delle operazioni in Libia è passato sotto "Comando Unificato", la NATO ha mostrato un’evidente spaccatura interna: da una parte i Paesi che avevano preso l’iniziativa, appoggiati da una manciata di pochi altri, e dall’altra importanti stati membri, come la Germania, l’Italia o la Turchia, che hanno assunto posizioni con sfumature diverse ma convergenti nel rifiuto di bombardare le truppe di Gheddafi. I Paesi un tempo satelliti di Mosca, e che ora condividono i valori atlantici, si sono defilati subito dall’impresa libica, più preoccupati dai potenziali accordi sui missili balistici tra russi e americani che da quanto accade a Tripoli.
La notizia che la NATO rischia di esaurire le scorte di missili di precisione, che si aggiunge alla carenza di caccia per le missioni, è un altro segno che i Paesi europei che hanno dato inizio al conflitto non riescono a sostenere lo sforzo bellico per un periodo prolungato di tempo, senza l’aiuto degli Usa. Forse richiamando in missione gli ufficiali e i piloti americani qualcosa cambierebbe, ma non è detto che il presidente Obama dia il via libera: le elezioni si avvicinano, ed un presidente di guerra non somiglia al ritratto di quello laureato nobel per la pace.
Le divisioni politiche all’interno della NATO, la mancanza di unità d’intenti fra i Paesi europei, una malintesa idea di multilateralismo che diventa sinonimo d’irresolutezza, un nemico, indebolito ma ancora al suo posto, sono tutti elementi che dimostrano come abbiamo preso sottogamba l’intervento in Libia, senza piani precisi e un progetto di fondo, sull’onda della commozione per i diritti umani traditi e tra le correnti di interessi nazionali neanche troppo reconditi. Viste le premesse, la Francia avrebbe potuto animare una forza d’incursione rapida, in grado di sostenere l’insorgenza sul campo. In parte ci ha provato con le sue truppe speciali ma il ministro degli esteri Juppè non intende oltrepassare i caveat imposti dalla 1973. Lo scopo resta quello "umanitario", anche se si continua a chiedere a Gheddafi di andarsene. Nel frattempo i civili fuggono da Misurata, mentre gli ospedali della città sono costretti a dimettere in fretta i feriti perché ne arrivano subito altri. Non è ancora Sarajevo, né bisogna esagerare con i paragoni, ma non si può certo dire che la missione è compiuta.