Bagnasco ci chiede come possiamo dire “no”

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Bagnasco ci chiede come possiamo dire “no”

01 Aprile 2007

Se avete ascoltato i telegiornali di ieri o letto i
giornali di oggi (salvo eccezioni) vi sarete convinti che il presidente dei
vescovi italiani, mons. Bagnasco ha detto qualcosa del genere: “I Dico sono
come l ‘incesto e la pedofilia”. Bisogna aggiungere che anche la maggior parte
dei politici deve essersi limitata a questa sommaria informazione per poter
aprire il fuoco delle dichiarazioni: solidali ma con un certo imbarazzo quelle
del centro-destra; indignate, ma con un fondo di compiacimento (“questa volta
Bagnasco ha veramente esagerato!”), quelle del centro sinistra. La stessa Cei, visto il putiferio prodotto
dalla versione giornalistica delle parole del suo presidente ha sentito la
necessità di rettificare.

Ma che cosa ha davvero detto Bagnasco? A leggere
il suo discorso agli operatori della comunicazione di Genova si capisce che
egli si è limitato a porre una semplice domanda: come facciamo a dire no?

Due innocue lettere, “n” e “o”, che solo a
pronunciarle insieme ci si scontra con il più radicato tabù dei nostri tempi:
la violazione del desiderio personale, del libero raggiungimento del proprio
piacere, l’attentato a ciò che consideriamo il nostro diritto.

Facendo riferimento a due casi concreti – una
coppia di fratelli di Lipsia che convivono e hanno avuto figli, e il partito
olandese dei pedofili che vuole legalizzare il rapporto sessuale tra adulti e
minori – Bagnasco si è detto: questo ancora ci scandalizza, ma in nome di che
cosa e fino a quando? Oggi l’incesto e la pedofilia sono ancora avvertiti dalla
pubblica opinione come riprovevoli, ma è solo il sentimento della
maggioranza  e come tale può evolvere e
cambiare. Così un giorno ci troveremo a non scandalizzarci più e a non sapere
dire no neppure alla coppia di Lipsia o ai pedofili olandesi.

«Nel momento in cui si
perde la concezione corretta autotrascendente della persona umana – dice
Bagnasco –  non vi è più un criterio di
giudizio per valutare il bene e il male e quando viene a cadere un criterio
oggettivo per individuare il vero e il falso, l’unico criterio o il criterio
dominante è il criterio dell’opinione generale. Diventa allora difficile dire
dei no, scoprire indirizzi in ordine al bene». Oggi dire no ai Dico
significa andare contro il senso comune della maggioranza, dell’opinione
illuminata e democratica, dei buoni sentimenti, di quelli che dicono “I care”,
che hanno a cuore i diritti e la libertà delle persone. Domani questa stessa
inclinazione potrebbe prodursi per altri diritti che oggi ci sembrano
bestemmie. «Oggi ci scandalizziamo – ha detto il
presidente della Cei – ma, a pensarci bene, se viene a cadere il criterio
antropologico dell’etica che riguarda la persona, che è anzitutto un dato di
natura e non di cultura, è difficile poi dire dei “no”. Se il criterio unico e
assoluto del bene e del male è la libertà di ciascuno, come scelta, allora
diventa possibile tutto. È necessario guardare la natura umana, ciò che la
persona è in se stessa, per poter agire con coerenza verso ciò che si è per
esprimere se stessi al meglio».

Qual è insomma il limite non valicabile, oltre il
quale la natura umana viene torta e sacrificata irreparabilmente. E’ l’opinione
comune che lo stabilisce? E’ una maggioranza espressa in un contesto
democratico? O c’è qualcosa di indisponibile anche per la forza della
maggioranza, qualcosa che, se immolata sull’altare del numero, trasforma la
regola democratica in uno strumento eguale al suo contrario?

Oggi ci viene naturale dire cose come: “non si
possono fare riforme istituzionali a colpi di maggioranza”, perché ammettiamo
che anche in politica esistono principi non disponibili al semplice prevalere
di una posizione sull’altra. Però ci scandalizziamo se la Chiesa, sui temi
etici, ci chiede di non sacrificare la natura umana a colpi di maggioranza. Perché,
dice Bagnasco, “le regole democratiche in questo caso possono diventare
violente”.