Bagnasco difende il Papa su Aids e responsabilità sessuale
23 Marzo 2009
Le parole del Papa sull’inefficacia dei preservativi nella lotta all’Aids continuano ad agitare le acque. Proprio pochi giorni fa, a Parigi, giovani di estrema destra e attivisti di estrema sinistra hanno manifestato contro il Pontefice, arrivando a gettare preservativi sul sagrato della cattedrale mentre i fedeli uscivano dalla messa domenicale.
Ieri il cardinale Angelo Bagnasco ha difeso pubblicamente Benedetto XVI affermando che “la polemica pretestuosa sul preservativo ha superato il limite e non ci si è limitati a un libero dissenso, ma si è arrivati a un ostracismo che esula dagli stessi canoni laici. L’irrisione e la volgarità tuttavia non potranno far mai parte del linguaggio civile, e fatalmente ricadono su chi li pratica”.
Una pioggia di critiche aveva seguito le affermazioni del pontefice sull’Aids che, intervistato sull’aereo che lo portava in Africa, aveva detto che “la distribuzione dei preservativi potrebbe aumentare il problema”. Il nocciolo del suo discorso, però, era tutto fondato sul concetto di “umanizzazione della sessualità”. Benedetto XVI ha chiesto di fondare le relazioni interpersonali su “un rinnovo spirituale e umano che porti con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro”. O, come ha detto il cardinal Bagnasco, “la promozione effettiva della donna”. Un concetto che per noi occidentali (forse) è un fatto più che acquisito ma che ad altre latitudini non è poi così scontato.
Tutti conosciamo le statistiche sull’uso del preservativo sbandierate nei Paesi occidentali: la percentuale di efficacia dell’uso del contraccettivo maschile per impedire la trasmissione dell’Aids si aggirerebbe intorno al 85 per cento negli Usa, secondo il National Institutes of Health. La percentuale di inefficacia dipende dall’uso scorretto del contraccettivo (la mancata o sbagliata educazione sessuale) e da altri fattori (tra cui comportamenti sessuali, fattori ambientali, eccetera). Ma spesso non si tiene conto che il margine di insuccesso può aumentare ulteriormente con il moltiplicarsi dei fattori negativi. I dati sulla sicurezza dei preservativi, dunque, non dovrebbero essere presi come assoluti ma venire considerati in relazione a fattori relativi legati a specifiche circostanze.
L’epidemia dell’Aids in Africa colpisce più di 22 milioni di persone. Il principale metodo per combatterla è stato, da sempre, la diffusione del contraccettivo maschile. Alla distribuzione dei profilattici si cerca di affiancare anche corsi di educazione sessuale, ma spesso queste lezioni vengono seguite solamente da una minima parte della popolazione. Il risultato? Un gran numero di giovani si trovano con un preservativo in tasca senza sapere come usarlo, quali sono i pro e quali i contro.
Il Fondo della United Nations Population (UNFPA), nel rapporto sullo Stato della popolazione mondiale del 2003, ha ammesso che “promuovere i profilattici come un mezzo che assicura una protezione assoluta può incoraggiare i comportamenti ad alto rischio”. Human Rights Watch ha dovuto riconoscere che l’incremento dell’uso del preservativo tra i maschi giovani coincide con la crescita esorbitante di rapporti sessuali non regolari. I preservativi possono essere quindi un metodo inefficace di prevenzione dell’Aids.
Conviene leggere la testimonianza di Antony C. Latham, un medico che ha lavorato per nove anni degli ospedali rurali dell’Africa Orientale. In un blog, il dottore spiega che in base alle sue esperienze “un soggetto sessualmente attivo che riceve il messaggio che può avere una relazione con l’assoluta certezza di non rimanere infetto, mentalmente preferirà scegliere di usare il preservativo piuttosto che ridurre il numero dei suoi partner sessuali. Siccome in questi casi il fallimento dell’uso dei preservativi è inevitabile e frequente, questo ragazzo continuerà a diffondere l’Aids o verrà infettato”.
Navigando su Internet ci si imbatte in esempi di pratiche sessuali tradizionali dell’Africa che fanno del preservativo un’arma a doppio taglio. Ad esempio quella del “sesso asciutto” in cui viene impedita la lubrificazione naturale della donna, provocando in molti casi la rottura del preservativo. Si tratta di una pratica abituale che difficilmente può essere sradicata con la semplice diffusione del profilattico.
Un altro fattore spesso ignorato è quello ambientale. Come spiega il dottor Nelson Sewankambo, preside della Facoltà di Medicina di Makerere, in Uganda, le condizioni climatiche e le alte temperature influenzano negativamente la conservazione dei preservativi durante il trasporto e nelle case aumentando le possibilità di usura. Aggiungiamo a tutto questo il dato che un maschio sessualmente attivo di una zona rurale dell’Uganda ha in media a disposizione nove profilattici l’anno. Sapendo che con il preservativo può avere un rapporto sessuale sicuro, ma non sapendo molto altro, non ci penserà due volte a riutilizzarlo.
In conclusione, l’uso corretto del profilattico riduce il rischio della trasmissione dell’Aids ma la distribuzione incontrollata del preservativo può diventare un pericoloso mezzo di trasmissione della malattia, tanto più in paesi dove non esiste una responsabilità sessuale condivisa tra i due partner.
“La Chiesa fa il suo mestiere e, facendolo, contribuisce al bene di tutti – spiega il dottor Filippo Ciantia, responsabile della Ong Avsi nella Regione dei Grandi Laghi – Non c’è un posto al mondo dove l’Aids sia diminuito senza un cambiamento radicale dei comportamenti sessuali. Ma per arrivare a questo si deve lavorare a livello educativo, non ci si può certo accontentare di distribuire preservativi, confidando nel loro effetto taumaturgico e deresponsabilizzando la gente”.
Qualcosa non va se persino a Washington DC, dove la contraccezione è tutt’altro che un tabù, i dati mostrano che l’epidemia non si combatte solamente con i preservativi. Altrimenti non si spiegherebbe come è possibile che il 3 per cento della popolazione sopra i 12 anni della capitale – ma secondo altre fonti raggiungerebbe il 5 per cento – è infetto dal virus dell’Hiv, lo stesso tasso registrato in Uganda. Fa riflettere che a Washington la fascia di età più colpita è quella tra i 40 e i 49 anni, proprio la generazione che negli anni ’90 fu più “bombardata” dalle campagne per la lotta contro l’Aids usando il preservativo. Come dire, qualcosa non ha funzionato neppure nei Paesi occidentali.
Il successo dell’Uganda, invece, dove dal 20 per cento si è passati al 3 per cento della popolazione infetta, non è dovuto solo alla diffusione del profilattico. La scelta del governo di abbracciare laicamente la politica dell’ABC (Abstinence, Being Faithful, Condom Use) si è rivelata vincente soprattutto grazie al cambiamento dei comportamenti sessuali tradizionali. Forse siamo ancora troppo ipocriti da ammettere che l’Aids è anche frutto di comportamenti sociali libertari e irresponsabili. Che si parli di Uganda o di Washington DC.