Banca Etruria, indagine su Cda. Coinvolto anche Pierluigi Boschi

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Banca Etruria, indagine su Cda. Coinvolto anche Pierluigi Boschi

20 Marzo 2016

Forse l’inchiesta per bancarotta fraudolenta a carico del vertice di Banca Etruria è ad un punto di svolta. I pubblici ministeri guidati dal procuratore Roberto Rossi si concentrano sulle operazioni che hanno svuotato le casse dell’Istituto di credito causandone il fallimento. E delegano alla Guardia di Finanza nuovi accertamenti sulla delibera approvata nel corso della riunione del Cda, di cui era vicepresidente Pierluigi Boschi, il padre del ministro, del 30 giugno 2014 che chiudeva il rapporto con il direttore generale Luca Bronchi, concedendogli un indennizzo da un milione e 200mila euro. L’obiettivo è evidente: ottenere il sequestro della somma elargita al manager, che è accusato di concorso nello stesso reato contestato agli amministratori.  

 

La procura ha chiesto ai finanzieri del Tributario di esaminare il verbale di quell’assemblea per verificare eventuali dissensi. Risulta infatti dai controlli già svolti che sul trattamento da riservare al direttore generale ci fu consenso unanime, ma si è deciso comunque di accertare se in sede di discussione qualcuno abbia preso una diversa posizione. Dopo la dichiarazione di insolvenza pronunciata dal Tribunale di Arezzo era scontato che l’indagine mettesse sotto osservazione tutte le operazioni che avevano favorito alcuni manager penalizzando azionisti e risparmiatori. Per questo, oltre alle contestazioni formali, i magistrati hanno deciso di procedere per ottenere il rientro della somma elargita con provvedimenti che portino al sequestro dei beni per l’equivalente della somma incassata da Bronchi.   

 

Non si sa ancora se ci sia un fascicolo formalmente aperto e se gli ex vertici siano iscritti nel registro degli indagati. Di sicuro c’è una delega di indagine affidata dal pool di Pm guidato dal procuratore capo Roberto Rossi alla Guardia di Finanza e in particolare al nucleo di polizia tributaria delle Fiamme Gialle aretine, per andare a verificare i verbali della seduta del 30 giugno 2014, quella nel corso della quale appunto fu deliberata l’uscita di Bronchi dalla banca, con la buonuscita. In quella riunione il voto non fu unanime, si espressero a favore tutti ma con un astenuto, Giovanni Grazzini, che in Cda rappresentava l’associazione dei dipendenti. Si tratta adesso di verificare se quell’astensione vale come un sì o se invece rappresenta una scriminante. Negli ambienti investigativi si parla anche di possibili sviluppi in un prossimo futuro, che potrebbero arrivare fino alla richiesta di un sequestro per equivalente.  

 

Che la liquidazione di Bronchi potesse essere uno dei temi caldi nell’inchiesta per bancarotta fraudolenta originata dalla dichiarazione di insolvenza dell’11 febbraio lo si era capito dalle sanzioni irrogate da Bankitalia ai primi di marzo, nelle quali appunto i 15 consiglieri che avevano votato erano stati multati per 52mila euro a testa. Le stangate più pesanti erano toccate all’ex presidente Lorenzo Rosi, a Boschi e all’altro vice Berni: 130mila euro ciascuno.