Banca Etruria, Tribunale si riserva su insolvenza. Dito puntato su crediti deteriorati
08 Febbraio 2016
I giudici del Tribunale fallimentare di Arezzo si sono riservati la decisione sulla dichiarazione di insolvenza della vecchia Banca Etruria, chiesta dal liquidatore Giuseppe Santoni. La decisione arriverà entro pochi giorni, come si è appreso da fonti giudiziarie, al termine dell’udienza di stamani. L’istituto di credito è stato commissariato nel febbraio 2015 dopo che, sulla base di ispezioni, la Banca d’Italia aveva individuato un grave dissesto finanziario.
Il collegio presieduto da Clelia Galantino si è riservato anche sull’eccezione di incostituzionalità del decreto salva-banche approvato dal governo il 22 novembre scorso, avanzata dall’ultimo presidente dell’istituto di credito prima del commissariamento nel febbraio di un anno fa, Lorenzo Rosi. Sono stati gli avvocati di quest’ultimo, Michele Desario e Antonio Giunta, a sollevare l’eccezione di incostituzionalità del decreto durante l’udienza. Il presidente del Tribunale, Clelia Galantino, durante l’udienza, ha chiesto alle parti convenute se fossero interessate ad un decisione unica su entrambe le richieste avanzate al collegio. E tutte le parti hanno accettato questa proposta.
Il 28 dicembre era stata presentata la dichiarazione di insolvenza, passo necessario dopo il famoso decreto salva-banche approvato il 22 novembre dal governo, e messo in liquidazione coatta di Banca Etruria. Il Tribunale dovrà nominare un curatore fallimentare, e se questi dovesse ravvisare condotte penalmente rilevanti a carico dei vecchi amministratori (l’ex presidente Lorenzo Rosi e l’ex vice presidente Pier Luigi Boschi), il collegio dei giudici trasmetterà la relazione alla Procura di Arezzo.Toccherà allora al procuratore capo Roberto Rossi e agli altri pubblici ministeri del pool, analizzare le ragioni che hanno portato l’istituto di credito ad avere i conti in profondo rosso, ipotizzando il reato di bancarotta fraudolenta.
Una severa critica della gestione dei prestiti concessi dall’istituto e mai rientrati per le difficoltà economica, quantificati in circa "tre miliardi di euro", compare nella relazione di Santoni. Leggiamo: "le criticità affrontate con grave ritardo dagli organi aziendali erano consistite nella mancata tempestiva adozione di strategie, politiche e strutture dedicate alla gestione dei crediti deteriorati".