Banche sostenibili, una realtà non un’opinione
07 Dicembre 2012
Nel dibattito in corso ormai da cinque anni, sulle prospettive dei sistemi bancari e finanziari internazionali permane la difficoltà a rendere sufficientemente chiara la distinzione ed i ruoli che i diversi intermediari hanno avuto nel corso della lunga crisi recessiva, nonostante l’evidenza dei fatti.
Negli ultimi mesi si è tornati da più parti ad invocare, basti pensare alla Francia e al seguito avuto dal rapporto Liikanen, la separazione fra le attività bancarie tradizionali da quelle prettamente di trading. Ciò non è frutto del caso e non è nemmeno dovuto ad un esercizio accademico di illustri studiosi. Conferma soltanto che non tutte le banche sono uguali. Ed è naturale che tale indicazioni emergono nelle fasi più negative del ciclo economico.
Se oggi anche le grandi banche dichiarano di voler tornare sul territorio e per dare corpo a tali intenzioni predispongono piani che prevedono radicali mutamenti nelle loro configurazioni organizzative, significa che anche loro si riconoscono meno nel modello di banca universale, e per questa ragione hanno in programma riposizionamenti sui mercati locali. Del tutto diversa è, anche per ragioni storiche, la condizione delle banche del territorio, che – per loro vocazione – sono sempre rimaste prossime alle realtà di cui sono espressione, sostenendo i costi di una rete commerciale sempre vicina alla clientela.
In merito desta particolare interesse un recente studio pubblicato dalla Global Alliance For Banking On Values (GABV), una rete indipendente che riunisce 20 tra le principali Banche Sostenibili che operano in tutto il mondo, dove vengono messi a confronto i risultati economici di alcune delle principali banche sistemiche, le cd. “too big to fail”, con quelli di un gruppo di banche sostenibili che operano in diversi Paesi. Dallo studio emerge come per le Banche Sostenibili oltre il 70% dell’attivo sia destinato al finanziamento dell’economia reale, 30 punti percentuali in più rispetto alle banche sistemiche. Analoghe proporzioni vengono registrate anche per la raccolta da clientela ordinaria. Il rapporto che esamina l’andamento dei principali dati economici e patrimoniali delle banche nel periodo 2002-2011, mostra proprio che gli istituti di maggiori dimensioni (in questo caso quelli di rilevanza sistemica) prestano meno e allo stesso tempo raccolgono meno dal territorio e dagli ambiti locali, facendo emergere in maniera netta e chiara quanto la loro attività sia centrata sul trading.
Analoghi risultati si ottengono anche dai dati delle Banche Popolari del nostro Paese. Anche loro, in qualità di banche cooperative dedite al sostegno delle famiglie e della piccola e media impresa vedono i loro attivi di bilancio prevalentemente composti da prestiti all’economia reale. Infatti, nel periodo 2007-2011 (considerando così quello che il rapporto definisce periodo “Post Crisis”) gli istituti del Credito Popolare registrano un livello degli impieghi e della raccolta pari, rispettivamente al 72% ed al 68,5% del totale attivo.
Questo sta a dimostrare che il modo di operare delle Banche Popolari non è mutevole nel tempo si può osservare come tali rapporti siano rimasti sostanzialmente stabili nell’ultimo decennio, assumendo valori per gli impieghi e per la provvista pari al 69,6% e al 70,8%. È questo un chiaro segnale, vista l’eterogeneità che ha caratterizzato l’andamento dell’economia negli ultimi 10 anni, di come le Banche Popolari continuino a finanziare l’economia, non facendosi attrarre, nemmeno nelle fasi espansive del ciclo economico, dai guadagni di breve e brevissimo periodo della finanza.
Il rapporto si sofferma anche sul trend di crescita dei principali aggregati patrimoniali, mettendo in evidenza un aumento degli impieghi e della raccolta, nel periodo 2007-2011, pari al 15,6% e al 16,3%, a fronte di dati pari rispettivamente al 4,3% e al 7,8% per le banche sistemiche, che dovrebbero costituire l’oggetto principale delle normative in itinere sia del Banking Union sia di Basilea 3. Vale la pena citare proprio questo periodo per comprendere come le “banche sostenibili” non abbiano smesso di finanziare l’economia nelle fasi più critiche della crisi economica, mostrandosi resilienti ed in grado – attraverso il loro operato – di connotarsi come operatori anti-ciclici. Analoghi risultati sono riscontrabili per le Banche Popolari che, nello stesso periodo, hanno visto incrementi degli impieghi e della raccolta pari al 13,5% e al 27,3%; sintomo della fiducia riscossa dei soci-clienti che hanno deciso di affidarsi agli istituti della Categoria, nei quali hanno trovato un valido sostegno nelle fasi più difficili.
In linea con quanto emerso dallo studio pubblicato dalla Global Alliance For Banking On Values, si può sostenere con ragionevole chiarezza che le Banche Popolari, nel nostro Paese, rientrino in pieno nella definizione di banche sostenibili. In particolare, va sottolineata l’importanza del localismo che ha permesso, e continua a permettere a tali istituti, di conoscere bene il territorio e di poter comprendere meglio e più velocemente le istanze da esso provenienti. A differenza di un passato anche piuttosto recente, oggi anche altri istituti stanno imitando tale modello, e questa è forse la più chiara conferma della sua validità e delle possibilità che ci offre per uscire dall’attuale recessione.