Barack Obama, la piazza e i “social justice warriors”
02 Febbraio 2017
Ormai è chiaro che il partito democratico americano è il fantasma di se stesso. La sua campionessa, Hillary Clinton, sconfitta alle elezioni, annuncia un libro di memorie. Il suo presidente, Obama, ha lasciato la Casa Bianca. I repubblicani controllano le due ali del Congresso e la maggioranza degli stati del Paese. Se non litigheranno tra loro, avranno presto una Corte Suprema schierata su valori conservatori.
Davanti a una situazione del genere, la tentazione per un partito che ha governato e brigato per venticinque anni nella vita politica americana, e che rischia di finire in crisi di astinenza del potere, può essere quella di ricorrere alla piazza, per indebolire Donald Trump seminando il caos nelle strade e nei campus americani. Le prove tecniche di questa strategia sono state la “grande” manifestazione delle donne contro il presidente e le proteste negli aeroporti contro l’ordine di bloccare gli immigrati provenienti dagli stati canaglia.
Protestare in piazza è lecito, e fino adesso, nonostante la propaganda sul grande dittatore autoritario, non si sono viste scene da “macelleria messicana” nelle strade delle città Usa, ma il rischio delle agitazioni di piazza è sempre quello che possono finire male, nel sangue. E la violenza vera, quella dilagante, violenta, è arrivata oggi, all’università di Berkeley che si è mobilitata per impedire a Milo Yiannopoulos, il trumpista gay e antijihadista divenuto celebre sul web durante la campagna elettorale, di tenere uno dei suoi discorsi sarcastici e pieni di provocazioni contro il mainstream nel tempio dell’accademia Usa.
Del resto l’università, l’accademia negli Stati Uniti è cambiata. Non siamo più nel Sessantotto, non c’è un classe docente anziana e tradizionalista da contestare, bensì un corpo accademico, nicchie della sinistra e dell’antagonismo, pronte ad accendere le polveri della rabbia studentesca. Per Trump, che ormai ha sdoganato tutto, soprattutto il rispetto per le centrali del politicamente corretto, la risposta è una sola: smettetela di fare casino oppure taglierò i fondi ai dipartimenti universitari. Ma la protesta va avanti, girano voci incontrollate, ci sono feriti? Un morto?
Sentite cosa dice una maestra di scuola con il giubbotto della organizzazione Black Lives Matter – l’organizzazione afroamericana che contesta la polizia e le autorità Usa (guai a parlare di suprematismo nero…) – durante una manifestazione di piazza a Seattle, in un video che si può guardare su YouTube: “dobbiamo iniziare ad ammazzare della gente… prima di tutto dobbiamo uccidere chi sta alla Casa Bianca, la Casa Bianca deve morire, fanculo Casa Bianca”. Non si tratta di ammazzare semplicemente qualcuno, ma bisogna colpire i “bianchi”, “dateci i vostri soldi fottuti, dateci le vostre case, le vostre proprietà, dovete pagare per quello che avete fatto ai neri e ai nativi americani…”, aggiunge la signora.
Dopo aver lasciato la Casa Bianca, Obama si è autocandidato a leader della opposizione. L’ex presidente ha iniziato a blandire queste piazze sempre più bellicose, dicendo che con Trump alla Casa Bianca “i valori americani sono a rischio” e che quindi fanno bene quelli che si mobilitano per difenderli. Ma le urla isteriche dei “social justice warrior”, ovvero dei guerriglieri del politicamente corretto, sponsorizzati dal partito democratico e dai suoi potenti finanziatori, stanno a lì a testimoniare che il rischio di una deriva antidemocratica c’è e che lisciando la pelle al lupo si rischia di finire azzannati.