Barack to the future. Dopo gli errori il sogno di Obama riparte dal lavoro

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Barack to the future. Dopo gli errori il sogno di Obama riparte dal lavoro

28 Gennaio 2010

Nel giorno del suo primo discorso alla Nazione, il Presidente Usa non smentisce la politica dell’hope and change e guarda al futuro con ottimismo: “non sono mai stato così speranzoso”, per via della nostra resistenza nel bel mezzo delle difficoltà” e perchè “nonostante le avversità la nostra unione è ancora forte”.

Si può proprio dire che “speranza” è stata la parola chiave dello “State of the Union Address”. E si può dire che è sulla loro incrollabile fede che gli americani devono contare per uscire da questo momento difficile, senza lasciarsi abbattere. “La democrazia in una nazione di trecento milioni di persone può essere rumorosa e complicata”, ha ricordato Obama. “Siamo, forti, resistenti, americani”.  

Un po’ tutti i media Usa, alla vigilia del discorso sullo stato dell’unione, puntavano forte sul tema dell’economia che avrebbe dovuto occupare i due terzi del discorso presidenziale. Non sono stati smentiti: Obama ha infatti parlato a lungo della crisi occupazionale e di come risolverla e ha menzionato la parola “posti di lavoro” per ben 29 volte. Altri temi caldi: le banche, la finanza e, naturalmente, la tanto discussa riforma del sistema sanitario.   

Come ha detto lo stesso Barack Obama, “nella Costituzione americana c’è scritto che di tanto in tanto il presidente deve fare un discorso alla nazione”, in tempi di guerra o di pace, di prosperità o di difficoltà economiche. Sono duecentoventi anni che questa tradizione va avanti. Ed esattamente dieci anni fa, un altro presidente democratico (Bill Clinton) pronunciava queste parole durante il preambolo al tradizionale discorso alla nazione: “Siamo fortunati a vivere questo momento storico. La nostra nazione non ha mai beneficiato di così tanta prosperità e di cosi tanto progresso sociale allo stesso tempo, associati a una crisi interna pressoché inesistente e a pochissime minacce dall’esterno. Non abbiamo mai avuto, prima d’oggi, un’opportunità così grande di costruire la più perfetta unione possile, proprio come sognavano i nostri padri fondatori e non ci siamo mai sentiti tanto obbligati a farlo come lo siamo oggi”.

Sembra passato un secolo da quel giorno. Ieri, però, il Presidente Obama si trovava di fronte un’audience ben diversa rispetto a quella di Clinton nel 2000, anche se i temi della discussione non sono cambiati poi molto. Sono i toni ad essere radicalmente diversi.

Il pulpito del Parlamento a Washington non era certo un posto in cui trovarsi a proprio agio ieri sera verso le 9 ora locale (le 3 di notte in Italia). Obama doveva infatti convincere i demoralizzati colleghi Democrat che la perseveranza avrebbe dato finalmente i suoi frutti, “against all odds” come dicono gli americani: contro tutti i pronostici. Doveva anche riuscire nella disperata impresa di riprogrammare la sua agenda politica in un’implicita ammissione di colpa del tipo: “Forse abbiamo sbagliato qualcosa ma le intenzioni erano buone”. Infine, altro ingrato quanto arduo compito: c’era da convincere i numerosi “obamascettici” sul fatto che lui avrebbe potuto cambiare Washington senza esserne cambiato.

Ma lo “State Of The Union Address 2010”, oltre a rappresentare un importante banco di prova, è anche stato carico di significati strategici. Con questo discorso il Presidente si augurava di “accendere i fendinebbia” della sua macchina amministrativa e gettare un po’ di luce sulle sagome ombrose dell’autostrada che aveva imboccato un anno fa. Dopo la pesante sconfitta in Massachussets e la conseguente perdita di un seggio significativo a favore del Repubblicano Scott “Downtown” Brown, che ha reso ancora più difficile l’approvazione della riforma sanitaria tanto discussa, i Donkeys avvertivano forte il bisogno di ritrovare l’unità perduta. Ma, secondo molti commentatori, questa unità perduta sembra assomigliare sempre di più alla proverbiale arca.

Perché i Democratici sono divisi su temi molto importanti: c’è chi è ancora convinto di poter difendere i grandi progetti di legge dell’anno scorso (su tutti la riforma sanitaria) e c’è chi invece pensa di dover dirigere il timone verso approdi più sicuri. Ma una cosa è certa: l’anno che verrà porterà grossi tagli alle spese e aumenti di tasse, due cose che gli americani tendono a considerare negative (per usare un eufemismo).Obama ha perfino proposto un “congelamento” delle spese federali per i prossimi 3 anni, manovra che, in teoria, dovrebbe riportare nelle casse del governo centrale parte del denaro speso lo scorso anno a favore delle banche.

I programmi di National e Social Security, Medicare e Medicaid, ha assicurato il Presidente, non saranno intaccati da questa contromisura. I soldi si troveranno tagliando le spese del governo federale, “scartabbellando” il budget per trovare il modo di tagliare i rami secchi. Con l’occasione sarà creata una “Bypartisan Fiscal Commission” (una task force bypartisan), questa commissione, a quanto pare, non sarà uno dei soliti esercizi retorici di Washington ma dovrà “produrre una soluzione specifica entro un certo limite di tempo” perché “non voglio passare il problema a un’altra generazione di americani”, ha spiegato il Presidente.

Obama ha descritto il modo in cui l’economia americana è stata devastata dagli ultimi avvenimenti e ha parlato a lungo del futuro “dei nostri figli”. Il tono era come di consueto sicuro, accompagnato stavolta con un accenno di sorriso, più o meno uguale a quello inquadrato dalle telecamere sul volto di Tymothy Gartner, Ministro del Tesoro. E Obama ha più volte strappato risate bypartisan alla sua audience come quando ha ammesso che tutti hanno “odiato gli aiuti alle banche”. Il Recovery Act, secondo lui, ha però sortito un effetto più che positivo sull’economia Usa che “dopo 2 anni di recessione, si sta riprendendo”. Così come le imprese che “piano piano stanno ricominciando ad assumere personale”. Su questo punto, l’annuncio di un nuovo piano sul lavoro.

Secondo Obama, la scarsità di posti di lavoro dipende dal problema del finanziamento alle imprese che sarebbe strozzato anche quando queste creano profitti. La ricetta della Casa Bianca? “Agevolare il credito”.

Il Presidente ha continuato sull’economia, parlando della necessità di costruire infrastrutture come ferrovie, strade, ponti etc.. Importante, secondo lui, anche puntare sull’energia pulita e sulle centrali nucleari.

Obama ha poi spiegato che l’America deve riuscire a raddoppiare le sue esportazioni perché questo significa incrementare i posti di lavoro. Inoltre, si dovrebbe aggredire il mercato per ritagliarsi spazi nuovi nell’economia globale e per farlo c’è bisogno di una sola cosa: educazione. Una frase a effetto riuscita: “The best anti poverty program around is a world class education” (il miglior programma possible contro la povertà è un’educazione di prima classe). Proprio sulla scuola Obama ha strappato gli applausi più scroscianti, e lo ha fatto spiegando come, per mezzo di tagli adeguati e sconti sulle tasse, si dovrebbe essere in grado di garantire a tutti i giovani americani (meritevoli) una laurea universitaria.

A un certo punto, invetabilmente, il Presidente ha cominciato anche a parlare di un altro tema caldo: la riforma sanitaria, ha fatto di nuovo ridere la sua audience dicendo: “A questo punto dovrebbe essere chiaro che non ho scelto di occuparmi di questo tema [la sanità] perché si trattava di una mossa popolare”. Infatti il suo vessillo (o la sua croce, secondo i punti di vista) Obama lo ha difeso strenuamente, perché ci crede fino in fondo. E per farlo ha dipinto un quadro a tinte fosche del futuro sanitario americano che si presenterà qualora il suo piano non dovesse passare. Scene di milioni di individui che perderanno l’assicurazione sanitaria entro il prossimo anno, alle quali sarà negata qualsiasi forma di assistenza medica. Quindi, senza il nuovo piano sanitario, ci saranno milioni di persone malate e prive di accesso alla cura. In un tentativo di dare una frustata al suo cavallo di battaglia, il Presidente si è rivolto a tutti con tono cameratesco: “Troviamo un modo finire quello che abbiamo cominciato…facciamolo”.    

Insomma, tutto un po’ come previsto: poco spazio al terrorismo e alle tematiche di politica internazionale (compreso l’Iran), enfasi sull’economia, il lavoro e il sistema sanitario da riformare. Tutte cose che si sapevano già e sulle quali si era già discusso a lungo. Lo sostanza del discorso va ricercata quindi dietro le quinte. Anche perché tutte queste annunciate riforme, come ha ammesso lo stesso Obama, “non ci daranno indietro i 7 milioni di posti di lavoro persi recentemente”.

Il messaggio presidenziale che avrebbe dovuto essere rivolto alla nazione in realtà forse (pensano alcuni commentatori) Obama lo ha voluto indirizzare soprattutto ai suoi colleghi politici. Il Presidente ha messo le carte in tavola spiegando che “tutte queste riforme non potrano funzionare se prima non cambiamo il modo in cui noi ci rapportiamo al prossimo”. Significa che se i Democrats e i Repubblicans non riusciranno a lavorare insieme non ci sarà modo di uscire da questa crisi e che il suo lavoro potrebbe essere compromesso dagli atteggiamenti poco collaborativi dei suoi colleghi.

“Non sono naive, non ho mai pensato che la mia sola elezione sarebbe sfociata in pace e armonia e in una specie di nuova era bypartisan”.  Sono le divisioni interne, secondo il Presidente, a impedire il progesso del Paese. Per guardare al futuro, allora, si deve tentare di rimuovere certi ostacoli “politici”.  

Allora è questo il messaggio del Presidente Obama, che in pratica chiede all’America di resistere e ai suoi colleghi di aiutarlo a governare. Infatti, puntuale, verso la fine del discorso, arriva la stoccata ai suoi compagni di partito: “Vorrei ricordare ai Democratici che la gente si aspetta che risolviamo i problemi, non che ce la diamo a gambe”.

Dopo il discorso, questa notte, i fact checkers avranno sicuramente un bel da fare e nei prossimi giorni leggeremo un bel po’ di editoriali su questo tema. Ma su una cosa Obama si è dimostrato perfettamente bypartisan e ha messo d’accordo tutti: le battute. Anche i Repubblicani hanno riso quando lui gli ha ricordato che il prossimo mese dovrà sedersi attorno a un tavolo con loro dicendogli: “Lo so che voi non vedete l’ora”. Forse ha imparato qualcosa da Berlusconi?