Barack voltagObama. Ma agli americani piacerà uno che cambia idea ogni ora?
11 Luglio 2008
Barack voltagObama. Nel 2004, l’America preferì Bush a Kerry. Del primo, già allora, non piacevano molte cose, ma gli elettori sapevano cosa aspettarsi. Del secondo, invece, non convinceva l’attitudine a cambiare repentinamente idea per adulare l’uditorio di turno. John Kerry “the flip-flopper”, il “voltagabbana”. La macchina repubblicana guidata dal machiavellico Karl Rove insistette su questo tasto per tutta la campagna elettorale. E il candidato democratico fece ben poco per togliersi l’etichetta di dosso. Memorabile la sua goffa gaffe sulla legge per il finanziamento delle truppe in Iraq. “In realtà – disse Kerry, senza battere ciglio – ho votato a favore prima di votare contro”.
Sono passati quattro anni. La musica è cambiata. Ma, forse, neanche troppo. Nelle ultime settimane, infatti, alla ricerca dei voti degli indipendenti, il senatore dell’Illinois ha compiuto più di una virata a 90 e 180 gradi su temi chiave per l’elezione del 4 novembre. “Obama è il candidato del cambiamento? Sì, del cambiamento di idee per fini elettorali”, hanno subito attaccato dal campo di John McCain. A dire il vero, il candidato dei democratici ha scontentato soprattutto l’ala liberal del partito dell’Asinello, che nelle primarie lo aveva sostenuto senza se e senza ma. “Obama – ha accusato Bob Herbert sul New York Times – non si sta muovendo verso il centro. Piuttosto, barcolla verso destra quando gli fa comodo”. Per Matt Stoller di OpenLeft.com l’elezione di Obama sarebbe la vittoria di un “governo centrista”. Non ha tutti i t orti.
Sull’Iraq, Barack Obama, dopo aver affermato per un anno che, qualora eletto, avrebbe ritirato le truppe in 16 mesi, ora ha “puntualizzato” che su questa decisione influiranno le notizie dal terreno e le valutazioni dei comandanti militari. Obama ha, inoltre, criticato la decisione della Corte Suprema per la quale chi ha violentato dei minori non può essere punito con la pena di morte. Ha, invece, plaudito alla disposizione della medesima Corte che ha dichiarato inviolabile il diritto al porto d’armi dei cittadini americani. E che dire del NAFTA, l’accordo di libero commercio del Nord America? Durante le primarie, il senatore afro-americano lo ha criticato duramente per attrarre i voti della classe operaia (che peraltro ha votato Hillary). Adesso, però, ha moderato la sua posizione. Mercoledì 9 luglio, infine, Obama ha addirittura votato contro le indicazioni della leadership del suo partito su un provvedimento, caldeggiato dall’amministrazione Bush, sulle intercettazioni telefoniche per ragioni di sicurezza nazionale.
Obama, ha scritto lo storico conservatore Victor Davis Hanson, “sta abbracciando l’agenda dell’impopolare presidente Bush”. Anche su Cuba e Iran, ha aggiunto il professore della Hoover Institution, il giovane senatore ha cambiato idea e si è avvicinato a quella dell’inquilino della Casa Bianca. In realtà, come ha notato Dan Balz sul Washington Post di ieri, è difficile “individuare” la piattaforma ideologica di Barack Obama. Il suo breve periodo di servizio al Senato (solo 4 anni) non permette di tracciare un identikit definito. Obama conquista consensi con il carisma della sua personalità. Tuttavia, restano ancora insolute molte domande sui suoi valori di riferimento (anche sull’aborto ha ondeggiato) e sulle priorità che porrebbe in agenda durante la sua presidenza. Cos’è dunque l’Obamaismo? Secondo i sostenitori di Obama, il suo è un linguaggio post-ideologico, che guarda ai problemi concreti e cerca di costruire ponti bipartisan. Intanto, però, l’ombra di “John Kerry the flip-flopper” fa fatica a diradarsi.