Barak sarà il vice della Livni per salvare il centro-sinistra israeliano

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Barak sarà il vice della Livni per salvare il centro-sinistra israeliano

15 Ottobre 2008

L’accordo è stato siglato a poche ore dall’inizio del Sukot, una delle principali festività ebraiche. Prima ci sono state 18 ore di trattative ininterrotte: tanto è servito perché Tzipi Livni – ministro degli Esteri e leader del partito centrista di Kadima – ed Ehud Barak – ministro della Difesa e leader del partito laburista – trovassero un’intesa per tornare a governare insieme. Se i dettagli dell’accordo tra i due partiti verranno discussi dopo il Sukot, le contrattazioni prefestive sembrano aver risolto la questione più spinosa: il ruolo di Ehud Barak nel nuovo (eventuale) esecutivo.

Il piano d’intesa tra Kadima e Labour poggia su rinunce e concessioni. Barak rinuncia a mettersi sullo stesso piano della Livni nell’esecutivo, alla guida diretta delle trattative israelo-siriane, alla rimozione del ministro della Giustizia Friedman e all’incremento della legge finanziaria per il 2009. In compenso ricoprirà il ruolo di vice della Livni, avrà un ruolo fondamentale nei negoziati con Siria e Autorità Nazionale Palestinese e avrà il potere di veto sulle questioni di sicurezza nazionale e su eventuali riforme proposte dal ministro Friedman. Sul piano sociale, i Laburisti hanno ottenuto un aumento delle pensioni e una riduzione delle tasse universitarie.

La miglior interpretazione del matrimonio politico tra Labour e Kadima è senza dubbio quella offerta da Aluf Benn sul quotidiano progressista Haaretz: "L’alleanza politica tra Tzipi Livni ed Ehud Barak non è frutto di un reciproco affetto – scrive Benn – quanto piuttosto della necessità di sopravvivenza". I protagonisti, in altre parole, sanno bene che in mancanza di un’intesa il Likud di Netanyahu sarebbe il grande favorito in occasione delle elezioni anticipate. Da qui la scelta di una partnership forzata, dettata più da logiche di potere che dalla reale volontà di governare efficacemente Israele:  il rischio, secondo Benn, è che un governo Livni – con Barak e i suoi poteri di veto – incappi negli stessi litigi che hanno più volte paralizzato l’uscente esecutivo Olmert.

Conquistato il Labour, per la Livni resta ora lo scoglio del partito ortodosso Shas: il sostegno dei suoi deputati è fondamentale per ottenere la fiducia della Knesset, ma strappare un accordo con il leader Ovadia Yosef appare un’impresa più ardua. La Livni ha deciso di trattare fino in fondo – forse perché è senza alternative: domenica ha incontrato privatamente esponenti del partito ortodosso cercando di andare incontro almeno a una parte delle loro richieste. Ma se Barak ha ottenuto quello che cercava, più difficile è scendere a compromessi con Yosef: oltre a un aumento dei sussidi per i bambini, lo Shas chiede che l’ipotesi di Gerusalemme capitale dei due Stati sia tolta dall’agenda delle trattative con i palestinesi.

Sulla questione Gerusalemme – molto cara a Yosef – si è poi espresso Benyamin Netanyahu, appellandosi allo Shas perché non scenda a patti con la Livni. "In questo momento Israele ha bisogno di un governo che sostenga l’economia e protegga Gerusalemme – ha detto il leader del Likud – e ovviamente questo governo non è in grado di farlo, perciò sono necessarie nuove elezioni". Shas si trova insomma tra due fuochi: quello della Livni – con la promessa di un governo subito – e quello del Likud, che non perde occasione di corteggiare il partito ortodosso in vista di nuove consultazioni. Secondo la Livni se lo Shas non entrasse nel nuovo esecutivo ne sarebbe danneggiato: "Gli israeliani non dimenticheranno coloro che hanno cercato di distruggere l’unità per andare a nuove elezioni".

Sulle trattative politiche aleggiano altri due fantasmi. Il primo, comune a tutto l’Occidente, è quello della crisi economica mondiale: Tzipi Livni è stata accusata da più parti – e non solo da Netanyahu – di non avere un piano preciso per salvaguardare l’economia israeliana. E a poco sono servite le rassicurazioni di Olmert. "Non c’è motivo di preoccuparsi – ha dichiarato il premier uscente – Israele è perfettamente in grado di fronteggiare la crisi". Accusata di curarsi delle trattative politiche tralasciando l’economia, la Livni è dovuta correre ai ripari. Secondo i suoi collaboratori, Kadima avrebbe un piano preciso per fronteggiare la crisi ma sarebbe da "irresponsabili" rilasciare dichiarazioni prima di aver formato un nuovo governo.

Il secondo fantasma, cruciale in vista delle trattative con la Shas, è quello del conflitto israelo-palestinese. A fronte di un possibile alleato che chiede estrema durezza sui punti cruciali dei negoziati, questa volta è la Livni a trovarsi stretta tra due fuochi: la Shas da un lato, la linea del suo partito dall’altro. Alle recenti aperture di Olmert – per cui Israele dovrebbe fare più concessioni ai palestinesi – si sono aggiunte le ultime dichiarazioni al fulmicotone di Tony Blair: secondo l’inviato del Quartetto per il Medio Oriente, le banche di Gaza sarebbero sull’orlo della bancarotta e Israele dovrebbe fornire ogni mese 100 milioni di shekel per salvarle. Senza queste misure, ha continuato Blair, a Gaza crescerebbero esponenzialmente il riciclaggio e il mercato nero: una situazione potenzialmente esplosiva. Israele infatti teme che i soldi versati nelle banche finiranno nelle mani di Hamas. Intanto il tempo passa e se la Livni non chiuderà anche questo accordo sarà davvero arrivato il tempo delle elezioni. Per la gioia del Likud.