Barroso dimostri che l’Europa è una cosa seria. Con le dimissioni.

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Barroso dimostri che l’Europa è una cosa seria. Con le dimissioni.

16 Giugno 2008

L’Irlanda ha detto no e già si parla di semplice “incidente”. L’unica via che gli “illuminati” vedono è quella di proseguire con le ratifiche, isolare l’ingrata Irlanda, che tanto deve all’Unione, e costringerla quindi – non si sa, né si dice bene quando – a rivotare.

E’ quel che avvenne del resto proprio in Irlanda nel 2001 e, nove anni prima, in Danimarca. L’Irlanda fu il secondo paese a pronunciarsi sul Trattato di Nizza (firmato a febbraio 2001). Lo bocciò un referendum, cui partecipò solo il 34,8 per cento degli aventi diritto. Completato il processo di ratifica in tutti gli altri Stati (tra questi, e non tra i primi, l’Italia), date chiare garanzie all’Irlanda sulla sua neutralità, si tenne un secondo referendum (nell’ottobre del 2004) con una forte affluenza (il 49,5 per cento) e una chiara maggioranza di si (62 per cento).

Dieci anni prima, il 2 giugno 1992, a pochi mesi dalla sua firma, in Danimarca un referendum bloccò il Trattato di Maastricht. Fu il risultato di una consultazione popolare del settembre successivo voluta in Francia e combattuta sulle piazze e in memorabili confronti televisivi da Francois Mitterand –pure minato dalla malattia – a tirare la volata al processo di ratifica negli altri paesi (fra i quali l’Italia). Il 18 maggio 1993, dopo un negoziato che gli fruttò un complesso sistema di opting out, la Danimarca, con un secondo referendum, approvò il Trattato, che entrò in vigore nel novembre dello stesso anno.

Oggi la situazione è diversa e fingere di negarlo non aiuta la causa europea.

E’ diversa in Irlanda, ove l’affluenza alle urne è stata alta (53,1 per cento contro il 34,8 del 2001).

Ed è diversa in Europa. Il no irlandese si aggiunge, non giuridicamente, ma certo politicamente, come un macigno ai due referendum che hanno affondato il Trattato Costituzionale in Francia e poi in Olanda (un paese quest’ultimo, si badi, che ad oggi non ha ancora concluso la ratifica parlamentare del Trattato di Lisbona).

E’ un messaggio dei cittadini; sarà pure “irrazionale”, ma come giustamente nota Giulio Tremonti “bisogna tenerne conto e agire”.

Mitterand agì e mise in campo tutto il suo peso politico nel convincere la Francia profonda, piena di paure, e condurla ad accettare il trattato di Maastricht.

E invece la immagine visibile – o meglio invisibile – della crisi europea oggi è quella marmorea del Presidente della Commissione Barroso.

Ogni giorno sui telegiornali  a fianco dei leader del pianeta, ma che non ha avuto il coraggio politico di andare a difendere le ragioni dell’  Europa in una terra che pure deve molto del suo recente sviluppo all’integrazione europea. Di fronte a questo terzo colpo suonato dagli elettori chiamati a pronunciarsi su un trattato che dovrebbe garantire maggiore efficienza e responsabilità alle istituzioni, non ha saputo far altro che negare ogni responsabilità delle istituzioni europee e trincerarsi dietro la volontà dei governi che non avrebbero voluto “l’ingerenza” di queste. Quando è proprio il senso della loro attività che andava difeso e argomentato. Proprio quello che non è stato fatto. 

E allora? Il presidente Barroso, invece di fuggire dalla responsabilità, la assuma. Si dimetta.

Il dibattito pubblico europeo non continuerebbe così a frammentarsi nei vari paesi, ma acquisterebbe una logica dimensione continentale. I Capi di Stato e di Governo e il Parlamento sarebbero costretti a discutere di queste dimissioni per scegliere il successore. Le elezioni del 2009 per l’assemblea di Strasburgo, che già oggi secondo le regole vigenti deve approvare la scelta del nuovo Presidente della Commissione,    potranno finalmente divenire l’occasione di un vero confronto tra i cittadini europei, sul futuro delle istituzioni comuni. Si uscirebbe dal gioco bizantino, aperto proprio dal Trattato di Lisbona, della ricerca delle tre personalità cui affidare il Governo dell’Europa (il presidente stabile del Consiglio europeo, l’alto rappresentante e il presidente della Commissione), per concentrarsi sulla scelta essenziale: quella del Presidente della Commissione, della persona cioè chiamata a guidare l’organo motore del processo di integrazione. E a lui affidare il compito di conciliare le opinioni pubbliche con l’Europa.

Lucidamente il nostro Ministro dell’Economia ha detto ieri: “ Se fai parte di una authority finanziaria i tuoi interlocutori sono gli operatori finanziari. Se sei un politico, la tua costituency è politica”. Ai cittadini, ai popoli europei, bisogna ora dare una risposta. Una risposta politica. Sfogliando gli atti della Convenzione europea scopriamo che il rappresentante del Parlamento irlandese – l’ex premier Bruton – aveva proposto l’elezione popolare diretta del Presidente della Commissione europea. Sembrava un sogno velleitario e invece era il tentativo di rispondere a quello scollamento che, forse, l’esperto politico aveva compreso, si stava producendo nella sua verde Irlanda e non solo.