Basilea 4: Eutanasia dell’economia reale

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Basilea 4: Eutanasia dell’economia reale

22 Ottobre 2016

L’intero mondo bancario europeo, composto da singole e più o meno grandi banche nazionali ed internazionali e dalle associazioni che le rappresentano, sta chiedendo, da diversi mesi, alle banche centrali e alle autorità di supervisione di bloccare ogni intervento in materia di vigilanza sul patrimonio. La richiesta di una vera e propria moratoria è diffusa anche fuori dall’Europa e va dall’associazione bancaria del Canada e a quella del Giappone.

Le banche statunitensi stanno addirittura pensando ad un’azione legale contro la Federal Reserve per bloccare l’attività di controllo nel 2017 considerando l’esercizio degli stress test motivo di speculazione selvaggia da parte delle borse oltre che pratica poco trasparente. 

La generale e giustificata preoccupazione avvertita dagli istituti di credito è che il Comitato sulla Supervisione Bancaria di Basilea riscriva, di nuovo, le regole prudenziali sul credito rendendole ancora più rigide di quello che già sono. Un intervento che, almeno in Europa, rappresenterebbe l’ennesimo shock normativo degli ultimi 10 anni dopo Basilea 2 e 3, l’introduzione del Meccanismo Unico di Vigilanza, il sistema di risoluzione delle crisi ed il bail-in, le disposizioni in tema di governance e quelle sulla trasparenza dei servizi finanziari.

Il Comitato di Basilea starebbe, infatti, per imporre alle banche un modello di rischio standardizzato da utilizzare per valutare l’affidabilità di ogni cliente nel momento in cui chiede un finanziamento. Un modello standardizzato che vieterebbe il ricorso a sistemi di valutazione interni e flessibili ma in grado di valutare ed apprezzare le caratteristiche particolari del mercato di riferimento e quelle dell’affidabilità del cliente. Insomma un sistema asettico, avulso da qualsiasi contesto soggettivo e di mercato, esclusivamente teorico che, paradossalmente, butterebbe dalla finestra i modelli di cui si sono dovuti dotare le banche, grandi e medio grandi, costati centinaia di migliaia di euro e decine di ore/uomo per una messa a punto durata circa dai sei agli otto anni.

Evidentemente ci si è accorti, solo strada facendo, che rincorrere una sofisticazione matematico-statistica estrema non ha porta né apprezzabili benefici né un controllo del rischio credito ottimale date le premesse di partenza. Peccato però, che si continui a perseverare battendo la stessa strada. E’ evidente che, seppure il rinnovato e nobile obiettivo di ridurre rischi di insolvenze e di crisi sistemiche fosse raggiunto, – cosa, come abbiamo visto, niente affatto dimostrabile – di fatto, l’erogazione del credito diventerebbe, a questo punto, ancora più onerosa e meno profittevole per le banche. Ma se questa è la loro legittima preoccupazione, analoga, e forse maggiore, dovrebbe essere quella avvertita dall’economia e dalla politica.

Le conseguenze discendenti dal modello in discussione sarebbero negative per l’intero sistema economico, e soprattutto per le Piccole e Medie Imprese, in particolare per quelle senza rating, alle quali l’accesso al credito sarebbe, di fatto, precluso.

Regole più stringenti sulla ponderazione del rischio di credito avrebbero l’effetto che, per erogare un prestito a una piccola o media impresa, sopratutto se di nuova costituzione, la banca sarebbe costretta ad accantonamenti ancora più elevati con la diretta conseguenza della contrazione dell’operatività della banca stessa e quindi del numero delle operazioni di finanziamento. Gli istituti bancari, per contrastare la risoluzione delle proprie attività nonché gli effetti degli stress test negativi dovrebbero deliberare nuovi aumenti di capitale ovvero l’emissione sul mercato di altri strumenti finanziari. Una vera e propria spirale negativa i cui effetti deleteri non ricadrebbero soltanto sui profitti delle banche, ma prima di tutto sull’economia reale producendone un’ulteriore contrazione. 

Da un lato si avverte da tutti gli operatori istituzionali ed economici la priorità di trovare e mettere in atto strumenti perché possa esserci una ripresa dell’economia, perché si possa uscire da una crisi economico e finanziaria che ormai è quasi decennale e che sta mettendo a rischio la tenuta del sistema e, visti i livelli di disoccupazione, dell’intero assetto sociale e democratico del mondo occidentale. Dall’altro, relativamente al sistema bancario, si continua a ragionare come se questo fosse una variabile indipendente e soprattutto non si valutano le ricadute che un qualsiasi intervento su di esso si producono sull’intero ciclo economico.

Una vera e propria schizofrenia regolamentare che non affronta il problema dei problema: la crisi economica. La riduzione del rischio non può, infatti, che essere la conseguenza della ripresa della crescita economica e non la sua causa. Per questo altre devono essere le strade da percorrere. La conoscenza diretta della persona, del suo lavoro, della sua capacità di intraprendere, continuano a rappresentare le più affidabili delle “garanzie” perché sviluppano un rapporto fiduciario che è un valore non assoggettabile ad astratti criteri matematici e prettamente teorici.

E’ un valore che nasce dal legame con il territorio che coniugato ai principi di solidarietà e sussidiarietà propone una concreta, perché sperimentata, via d’uscita alla crisi che non è più soltanto economica e finanziaria, ma anche politica, sociale e culturale.  

* Segretario Generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari