Basta spremere, ora i tagli
05 Aprile 2012
Dopo avere riformato le pensioni e aumentato le imposte. il governo non è intervenuto sulle uscite dello Stato. Eppure, si possono fin da subito risparmiare 80 miliardi. Da circa 30 anni in Italia si effettuano ogni anno manovre di tagli della spesa pubblica. Prima di decine di migliaia di miliardi di lire. Poi di decine di miliardi di euro. Tagli veri? No, finti. Si è trattato sempre di meri contenimenti dell’andamento aggiuntivo della spesa, mai tali da impedire che essa continuasse comunque a crescere. Da decenni la mistificazione dei finti tagli alimenta polemiche al napalm.
Ma la spesa pubblica è passata dai 373 miliardi di euro del 1990 agli oltre 800 miliardi attuali, rimanendo attestata a oltre il 50 per cento del pil. La pressione fiscale sta aumentando di 7 punti di pil, dal 38 per cento del 1990 andremo al 45 per cento con le manovre Berlusconi-Monti. Le entrate pubbliche sono passate dal41,8 per cento del pii nel 1990 al 47 per cento e oltre. E il debito pubblico è triplicato, da 663 miliardi di euro nel 1990 agli attuali 1.930 miliardi.
Dal governo tecnico e di emergenza era ovvio attendersi non solo la strabenedetta riforma delle pensioni, troppo a lungo rinviata da destra e sinistra, e che resta la vera mossa che ci ha evitato il baratro, portandoci al vertice delle classifiche di sostenibilità previdenziale comparata. Occorreva, a maggior ragione, anche la svolta sui tagli veri alla spesa pubblica, nell’ambito di 6-7 punti di pil ma un orizzonte triennale.
Da riversare integralmente in abbattimento della pressione fiscale, che concentrata com’è su lavoro e impresa ammazza la crescita e avvantaggia illegalità e criminalità, invece di contrastarle, come predicano gli untuosi stato latri che vanno per la maggiore. Il governo Monti aveva e ha due strumenti potenti a disposizione, a questo fine. Ma purtroppo la ‘spending review’ affidata a Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento, si è persa nelle nebbie. Come la delega fiscale, affidata al viceministro dell’Economia Vittorio Grilli e al sottosegretario Vieri Ceriani. Due venerdì fa i due fronti hanno litigato in Consiglio dei ministri, appena Monti è partito per l’Asia, rinfacciandosi di tenersi nascoste l’un l’altro le bozze. Cattivo segnale.
Grilli, l’indomani a Cernobbio, ha detto di non attendersi molto dal contenimento della spesa. Che si debba ancora studiare dove tagliare è una balla che la politica racconta da anni. Per non farlo. Non me lo aspettavo da professori che negano di nutrire ambizioni politiche. Esempi a caso, con l’avvertenza che in questa analisi non consideriamo le regioni, dove comunque di grasso ce ne sarebbe. Cominciamo dalle forniture sanitarie, passate da 37 a 77 miliardi di euro nei 5 anni precisi, oltre il 50 per cento del totale integrale di tutte le forniture delle pubbliche amministrazioni italiane, che superano i 140 miliardi.
Decisione secca: fine dell’autonomia degli acquisti per ogni azienda sanitaria e ospedaliera, unica piattaforma Consip per tutti dal prossimo esercizio. Riduzione costì: il 25 per cento in 3 anni. Ma non comprendendo gli incrementi tendenziali anno per anno, come fa la Ragioneria generale dello Stato, bensì budget zero base come in ogni impresa che si debba ristrutturare. Si scende da 80 miliardi a 60. Una riduzione di tali proporzioni, vista la frammentazione attuale, opaca e fonte di innumerevoli illeciti, è assolutamente a portata reale. A patto dì non ammettere deroghe. Secondo capitolo: la massa salariale pubblica, stabilizzata in questi anni grazie al blocco del turnover intorno a 175 miliardi di euro l’anno. Dopo la stabilizzazione, occorre la riduzione. Senza buttare nessuno per strada.
Con il premier David Cameron, il Regno Unito nell’attuale legislatura passa dall’obiettivo iniziale di 400 mila dipendenti pubblici in meno a ben 730 mila. Sui 3,8 milioni attuali in Italia, un taglio inferiore a quello britannico, cioè del 15 per cento, comporta in 3 anni un taglio alla spesa di 35 miliardi di euro rispetto ai valori 2011. È superiore al valore percentuale perché i dirigenti pubblici costano molto di più dei loro dipendenti. Dalle Poste ai servizi pubblici locali, ai circa 160 mila dipendenti di società controllate ancora da enti collegati alla pubblica amministrazione centrale, la cessione al privato avviene con gare impostate sul "lock up" (cioè il vincolo) pluriennale della maggioranza delle piante organiche attuali dei dipendenti: l’esperienza internazionale è piena di esempi.
Si può ridurre il pubblico impiego alzando la produttività complessiva del Paese e senza un disoccupato aggiuntivo. Ma la mobilità deve valere anche per i pubblici dipendenti. Da noi è così sulla carta, perché i vertici amministrativi (loro, non solo i politici) sono i primi a difendere l’intoccabilità del pubblico impiego, come sta facendo il signor ministro tecnico Filippo Patroni Griffi, arrampicandosi sugli specchi per l’articolo 18. In Spagna hanno stabilito che i dipendenti pubblici non funzionari siano licenziabili, se solo la loro amministrazione è in perdita da più di 9 mesi. Avete presente che cosa capiterebbe in Italia?
Terzo esempio: i trasferimenti alle imprese. Dei 43 miliardi annuali rendicontati dall’Economia, 15 sono in conto corrente alle aziende pubbliche, Ferrovie, Poste e trasporto locale, il resto va a settori dell’economia privata. La Confindustria dice di no, ma stiamo alle cifre dell’Economia, è lì che bisogna risparmiare. Ammesso che vogliate tenere quasi tutti i sussidi annuali al pubblico (è sbagliato), i 28 miliardi di trasferimenti alle imprese possono diventare 7 miliardi di credito d’imposta per l’innovazione, e 25 tra meno sussidi al pubblico e al privato.
Sommando queste sole prime tre enormi poste, siamo a 80 miliardi in meno di spesa pubblica in tre anni, come ordine di grandezza. Più di 5 punti di pii. Da una rimodulazione delle due aliquote agevolate Iva, al 4 e al 10 per cento, è ricavabile ciò che manca per arrivare a 100 miliardi. E in aggiunta, dai circa 180 miliardi di «tax expenditure» prodotti dalle molteplici deduzioni e detrazioni e abbattimenti d’imposta vigenti, 20 miliardi possono agevolmente essere distolti dai beneficiari attuali. Tutto va riconcentrato ad abbattimento delle aliquote su famiglia, lavoro e impresa. Sono altri 3 punti di pil.
È una serie dì meri esempi: ma siamo già a 80 miliardi di euro di minori spese, e a circa 40 di traslazionì di attuale peso fiscale a vantaggio di famiglie e impresa. No, il problema non è studiare. È fare, fare, fare. Sapendo che sono in milioni i beneficiari dell’attuale sistema statolatrico. Ma ancora di più sono le sue vittime. Ed è a queste ultime che bisogna dare una volta per tutte l’idea che ci si può riuscire, in una svolta vera.
Tratto dal settimanale Panorama