Battisti: sono innocente, furono i compagni a sparare a Torregiani
30 Gennaio 2009
di redazione
Dopo la lotta armata, Cesare Battisti continua a fare terrorismo mediatico. E’ notizia di oggi che si dichiara innocente per i 4 omicidi che gli sono costati l’ergastolo, scaricando ogni responsabilità sui compagni di allora. Ora che è diventato un "rifugiato politico" in Brasile può togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Per esempio accusando i PAC (Proletari Armati per il Comunismo) degli omicidi del maresciallo Antonio Santoro (1978), di Lino Sabbadin, Pierluigi Torregiani e Andrea Campagna, tutti avvenuti nel 1979. Come se fare da "copertura armata" di chi premeva il grilletto fosse meno grave. In ogni caso resta un pluriomicida con sentenze passate in giudicato.
Nel caso dell’assassinio del gioielliere Torregiani, Battisti è stato riconosciuto colpevole della ideazione e della organizzazione del colpo, né più né meno degli altri complici. A trent’anni di distanza viene a raccontarci di aver avuto un rapporto epistolare fatto di "amicizia, sincerità e rispetto" con Alberto, il figlio del gioielliere ucciso, che da quel giorno vive su una sedia a rotelle. Alberto è rimasto invalido "per un colpo sparato dalla pistola del padre durante il conflitto a fuoco", tiene a precisare Battisti, alimentando la leggenda diffusa dalla sinistra extraparlamentare. I giornalisti brasiliani prendono umilmente nota.
Alberto Torregiani qualche ora fa ha dichiarato: "Se è davvero innocente che si faccia avanti per dimostrarlo". Probabilmente il giorno della rapina nella gioielleria Battisti era altrove. Secondo alcune carte processuali, infatti, mentre veniva fatto fuori Torregiani, lui era a Mestre per uccidere Sabbadin. Quella notte i Pac lanciarono questa rivendicazione: "Siamo i proletari armati per il comunismo, abbiamo colpito gli agenti della controrivoluzione Torregiani e Sabbadin". Un macellaio e un gioielliere. I nemici del comunismo…
Battisti è uno che sa come farla franca. Ha sempre saputo svignarsela al momento giusto. Evase dalla carceri italiane per fuggire in Francia e sparì nella latitanza qualche secondo prima che scadesse la "Dottrina Mitterand". Oggi accusa i servizi segreti francesi di averlo aiutato a espatriare in Brasile. In una lettera aperta fornita dai suoi avvocati alla stampa, ha ringraziato i giornalisti per l’attenzione ricevuta, scusandosi di non poter concedere interviste a tutti. "Sono certo che tutti voi pubblicherete la verità dei fatti".
Il presidente Lula ribadisce la sovranita’ della decisione del suo ministro della giustizia, che ha concesso a Battisti lo status di rifugiato politico. Secondo il ministro Genro, l’Italia è "ancora ferma agli anni piombo". Ma se davvero Battisti fosse un "perseguitato politico" dovrebbe spiegarci meglio cosa accadde qualche tempo dopo l’assalto ai Torregiani. Precisamente il 19 aprile del 1979 a Milano. Per l’omicidio dell’agente della Digos Andrea Campagna – 25 anni e una medaglia d’oro al merito civile – Battisti è stato riconosciuto come "l’esecutore materiale" del delitto, sulla base delle accuse del pentito Mutti.
Campagna non era un operativo, in quel periodo faceva l’autista delle volanti ed era finito davanti alle telecamere durante le indagini sull’omicidio Torregiani. Qualcuno lo riconobbe e informò i Pac che Campagna stava indagando su di loro. Non era vero ma i terroristi gli diedero il benservito: una manciata di proiettili sparati in pieno volto mentre era sotto casa della sua ragazza. Negli anni di piombo gli uomini dello Stato italiano finivano ammazzati così. Bisognerebbe informarlo meglio il ministro Genro.