Bce. Riunione inconsueta sui tassi dopo un anno di crisi
06 Agosto 2008
di redazione
Saranno tutti fisicamente presenti a Francoforte, domani, i banchieri centrali dell’area dell’euro, riuniti nel Consiglio direttivo della Bce per la decisione mensile sui tassi di interesse, e il presidente Jean Claude Trichet al termine della riunione terrà una conferenza stampa.
Non sono attese variazioni, ma le modalità fuori dal consueto della riunione del direttivo di agosto testimoniano la perdurante gravità del contesto in cui i timonieri della politica monetaria devono compiere le loro scelte. Una rottura della tradizione della Bce che in parte si rinnova per il secondo anno consecutivo, dato che in tempi normali la riunione di agosto si svolge solo in teleconferenza e non è seguita da un incontro con la stampa del presidente Jean-Claude Trichet.
Lo scorso anno la riunione si svolse regolarmente in teleconferenza, ma il giorno stesso, il 2 agosto, a sorpresa Trichet convocò i giornalisti per lanciare espliciti messaggi sull’orientamento a varare una rialzo dei tassi il mese successivo. Poco dopo scoppiò una crisi globale di tale portata da scombussolare i piani di tutte le Banche centrali, Bce compresa.
Cade fra soli tre giorni l’anniversario del giorno in cui i mercati mondiali vennero sconvolti dal primo segnale, chiaro e inequivocabile, che stava iniziando una crisi finanziaria di portata storica, innescata da un comparto limitato – quello dei mutui subprime negli Stati Uniti – che poi ha dilagato negli altri settori. Questo primo segnale giunse proprio dalla Bce, che il 9 agosto del 2007 iniettò nel mercato interbancario liquidità per 94,8 miliardi di euro, un ammontare che aveva un precedente analogo solo nell’intervento seguito agli attacchi terroristici alle Twin Towers di New York, l’11 settembre del 2001.
Le Borse andarono a picco, mentre nelle ore successive prima la Fed americana, poi le Banche centrali delle altre maggiori economie si muovevano nella stessa direzione. Il mercato interbancario era in crisi, improvvisamente rimasto a secco di liquidità mentre tra le banche commerciali si diffondeva il timore che tra le pieghe dei bilanci della controparti fossero nascoste attività a rischio. Diffidenza che si tradusse con un’impennata dei tassi sui prestiti a breve scadenza con i quali le banche si scambiano i fondi sul mercato.
A un anno di distanza la portata di questa crisi finanziaria, e le sue ripercussioni sull’economia reale non sono ancora chiare. Ha investito tutti i mercati azionari; ha inevitabilmente comportato un generale inasprimento sulle condizioni per l’erogazione di prestiti; ha scatenato un dibattito globale, ancora in corso, sulle eventuali risposte normative e di policy da adottare; tra svalutazioni multimiliardarie ha mietuto vittime, anche eccellenti, come la banca americana Bear Sterns, salvata con una acquisizione supervisionata dalla Fed, o peggio, come nel caso Northern Rock, che ha provocato il primo ‘bank run’ della storia della Gran Bretagna – correntisti presi dal panico in ressa agli sportelli per ritirare i propri risparmi – e si è conclusa con una vera e propria nazionalizzazione.
La sventura subprime non è giunta da sola: mentre la crescita economica veniva minacciata dai crolli dei mercati e dalla stretta creditizia, il petrolio accelerava la sua corsa, assieme a tutte le materie prime. Poi è scattata la corsa dei prezzi alimentari che a sua volta ha determinato una crisi globale. Sono continuamente aumentate le pressioni sull’inflazione, che le Banche centrali cercano di tenere sotto controllo modulando il livello dei tassi di interesse.
Si è così creato quel "dilemma" di spinte opposte che da mesi causa grattacapi ai banchieri centrali di Francoforte, come a quelli di molti paesi. Un dilemma sempre più difficile da risolvere. Da un lato le Banche centrali possono cercare di smorzare le pressioni rialziste sui prezzi aumentando i tassi di interesse di riferimento: questo aumenta il costo del denaro (il prezzo da pagare per accedere al credito) e quindi frena alla lunga i rialzi dei prezzi. Dall’altro però l’inasprimento delle condizioni del credito tende a frenare la crescita economica, rendendo più difficile alle imprese finanziare attività e investimenti.
Oggi la situazione è allarmante sia sul fronte dei prezzi sia sul fronte della rescita. La Bce ha però un mandato istituzionale ben preciso: garantire la stabilità dei prezzi, e tutti i membri del Consiglio – in cui siede anche il governatore di Bankitalia Mario Draghi – non smettono mai di chiarire che verrà fatto tutto quanto necessario per assicurarla.
Proprio per questo il mese scorso, dopo un anno di pausa, la Bce ha deciso di reagire all’aumento dei rischi inflazionistici varando un aumento di 0,25 punti sui tassi, che dal 4% sono saliti al 4,25%. Una mossa che è stata accompagnata da nuovi chiari moniti su quello che si vuole assolutamente evitare: che si inneschi una rincorsa dei salari sull’inflazione. Negli anni passati in media nell’area dell’euro la crescita dei salari si era attestata su valori moderati. Ora la Bce teme che caro petrolio e alimentari portino a quelli che chiama "effetti di secondo impatto", ovvero una forte accelerazione degli aumenti in busta paga, una spirale che destabilizzerebbe in maniera ancora più grave le prospettive dei prezzi.
Nel frattempo sembra però essersi ulteriormente deteriorato il quadro della crescita economica. Il Financial Times apre l’edizione di oggi su indiscrezioni che anticipano una contrazione del Pil della Germania dell’1% nel secondo trimestre: la locomotiva di Eurolandia va a marcia indietro. I dati ufficiali sono attesi per la settimana prossima, ma nei giorni passati diverse inchieste anticipatorie hanno confermato prospettive negative per l’economia. Intanto cala la fiducia delle famiglie e calano le spese per consumi, secondo Eurostat a luglio sono cadute del 3,1% rispetto se paragonate con lo spesso mese di un anno fa.
E l’inflazione non molla la presa: a luglio per la media dell’area dell’euro ha raggiunto il 4,1%, nuovo record dalla nascita della valuta unica, 10 anni fa. A testimonianza delle forti tensioni sottostanti, i prezzi alla produzione dell’industria avevano mostrato un tasso di crescita annuo dell’8% sul mese precedente, sempre secondo Eurostat. Di positivo c’è il recentissimo parziale rientro dei corsi petroliferi – a inizio luglio il barile era arrivato a superare i 147 dollari, poi ha registrato un sostanziale calo e ora fluttua attorno ai 120 – anche se sembra in larga parte legato alle attese di frenata dell’economia.
Considerata l’effettiva difficoltà nel valutare il quadro, ancora una volta sarà con la massima attenzione che gli operatori di mercato seguiranno la conferenza stampa di Trichet, sperando di cogliere spunti sugli orientamenti della Bce. Come già detto per domani non sono attese variazioni sui tassi. La decisione verrà comunicata alle 13.45, Trichet parlerà alle 14.30.
Fonte: Apcom