Bella Addormentata: un film con tanti “bersagli” che si dimentica di Eluana
06 Settembre 2012
Ci aspettavamo di più dalla “Bella Addormentata” di Marco Bellocchio, speravamo in qualche guizzo geniale, qualche riflessione più profonda nelle storie di vita e di morte che sapevamo essere raccontate, e invece abbiamo assistito a un film scontato e prevedibile, e quindi, tutto sommato abbastanza noioso. La nota ossessione anticattolica di Bellocchio, per la quale i preti e le suore hanno sempre un’aria cupa o, nel migliore dei casi insignificante, e spuntano continuamente da tutte le parti insieme a simboli sacri e a preghiere e canti dai toni vagamente mortiferi, fa da sfondo alle diverse storie che si intrecciano negli ultimi giorni di vita di Eluana Englaro, ripercorsi in spezzoni di telegiornali e notiziari trasmessi in tv, ai quali assistiamo insieme agli attori.
Ma le storie raccontate hanno tutte il sapore del dejà vu, con i loro percorsi banalmente corretti: in un autogrill la ragazza pro life che va a Udine a pregare per Eluana ha un colpo di fulmine per il ragazzo che milita – ovviamente, sennò che gusto c’è – nella parte opposta. Il marito che ama tantissimo sua moglie non può che accontentarla istantaneamente quando lei, malata, con un soffio gli chiede “amore mio aiutami”: in meno di due secondi le spegne l’interruttore della macchina che la tiene in vita. La ragazza in stato vegetativo è una bellissima bambola immobile in modo innaturale, non sbatte neppure le palpebre – ma qualcuno del cast, regista compreso, si è mai preoccupato di vedere com’è una persona in stato vegetativo? – respira rumorosamente attaccata ad una macchina (come poche persone in stato vegetativo) e sua madre, attrice di talento, vive solo per lei, in una sorta di suicidio intellettuale, professionale ed affettivo che appare irragionevole se non patologico: una rappresentazione scontata e ben poco rispettosa di chi nella realtà dedica la vita ad assistere i propri cari in queste situazioni.
I rapporti familiari sono tutti tragici o almeno molto problematici – a partire da “I pugni in tasca”, per Bellocchio la famiglia non è mai stata una risorsa – segnati da drammi umani, e non è un caso se l’unico segno di speranza, l’unica “bella addormentata” che si risvegli è una tossicodipendente senza famiglia che si vuole suicidare, alla quale un medico, senza famiglia pure lui (a casa non mi aspetta nessuno, posso rimanere qui anche una settimana, dice il dottore alla ragazza) presta assistenza in ospedale per impedirle di farla finita. E’ lo stesso medico che scaccia dalla camera il prete entrato a pregare accanto alla donna assopita, al quale restituisce pure l’immaginetta che il sacerdote le aveva appoggiato vicino al viso. Senza famiglia e senza fede, quindi, è l’unico fra i protagonisti che “compie” il miracolo del risveglio alla vita, che pare non riesca neppure a Dio.
Chi dice di credere, secondo Bellocchio, non crede veramente ma prega per fissazioni nevrotiche – come l’attrice – e comunque nei momenti importanti della vita, di fronte al grande dolore o al grande amore, non segue la Chiesa e si comporta come fanno tutti (lo dice sempre pure Marco Pannella): la donna in fin di vita chiede l’eutanasia subito dopo aver ricevuto i sacramenti; la ragazza pro-life abbandona la recita del rosario per raggiungere l’innamorato e ha cura, appena prima di fare l’amore, di girarsi dietro la schiena il crocefisso appeso alla sua catenina, come per buttarsi alle spalle qualcosa di inutile. Tutte trovate francamente grossolane e talvolta anche un po’ ridicole, che appiattiscono i protagonisti su stereotipi che sanno di stantìo. Insomma, la scelta della vita e della morte riguarda la storia e le relazioni delle singole persone ed è solo a loro che spetta decidere, in un mix sentimentale in cui l’amore e la vita e la morte si confondono, come nei migliori filmoni melodrammatici.
La rappresentazione della politica è banalmente in linea con tutto il resto: i politici sono tutti depressi e cinici, Berlusconi è onnipresente, il Pdl è il partito in cui si cura innanzitutto l’immagine, chi vota a favore della legge per salvare Eluana lo fa pressato dal partito, per compiacere Berlusconi ed essere ancora eletto. Non poteva mancare il fervorino pro-Beppino Englaro, recitato da un bravissimo Toni Servillo che, sinceramente, non meritava tutto questo, e rappresenta l’unico politico “buono” cioè quello che per coerenza si dimette, contrario alla legge voluta dal Pdl. Miglior attore non protagonista, Gaetano Quagliariello nella parte di se stesso, riproposto nella famosa scena al Senato in cui dice che “Eluana non è morta, è stata ammazzata”, unica traccia della grande, generosa e nobile battaglia pubblica, politica e culturale, che ha segnato veramente quei giorni drammatici. Niente di nuovo sotto il sole, purtroppo, e nessun guizzo di sceneggiatura, né di regia. La storia di Eluana aspetta ancora di essere raccontata.
Tratto da ilsussidiario.net