
“Bell’Italia, amate sponde” di inciuci e corruttele?

04 Aprile 2012
Da Mani Pulite in poi, quei molti dell’italico popolobue che una volta si appassionavano a storie giudiziarie di delitti passionali come, ad esempio, il delitto Bellentani o il caso Montesi ed altre fosche storie, hanno cambiato dieta e ora si nutrono preferibilmente di storie giudiziarie che riguardano possibili episodi di corruttele del circuito politico-imprenditoriale-finanziario.
Non a caso l’unico quotidiano delle Procure (di certe Procure) attualmente esistente in Occidente, quello, per intenderci, su cui scrivono Premi Pulitzer che il mondo ci invidia del calibro di Marco Travaglio, Peter Gomez e Luca Telese (illustre giornalista che, prima di esser folgorato sulla via di Damasco del giustizialismo, e pertanto far anche carriera televisiva, per anni scrisse sull’efferato “Quotidiano di Berlusconi”), vende copiose copie.
Tal fenomeno lo spiega addirittura, paradossalmente, il legislatore ateniese Solone, il quale enucleava i limiti dei sistemi giudiziari paragonandoli alla tela di un ragno, nella quale rimangono imprigionati gli insetti piccoli mentre quelli grandi sono forti abbastanza per bucarla e liberarsi.
Tal concetto, venticinque secoli dopo, ancor più pragmaticamente lo focalizzava quella arguta gentildonna toscana che fu mia madre, quando mi ripeteva “Co’ soldi e l’amicizia si va ‘n c… alla giustizia”.
(Evidentemente il Cav., a differenza di tanti personaggi dei “Poteri Forti” che magari ne hanno combinate di cotte e di crude, pur essendo un Paperone, non gode, viste le reiterate, pluridecennali inchieste giudiziarie sul suo conto, di così importanti amicizie nelle italiche Procure).
E’ quindi logico che molti, del popolino, si appassionino a storie che contraddicono l’assunto solonico e si siano trasformati in tricoteuses sferruzzanti sotto ghigliottine mediatico-giudiziarie, nelle quali, senza andar tanto per il sottile, come accade in tutte le "rivoluzioni" che si rispettino, si taglia la testa, in una sorta di viscontiana “Caduta degli Dèi”, a personaggi in vista della vita economica e politica del Belpaese: i famosi “Potenti”
(Do you remember la fine fatta dal padre della chimica modena, Lavoisier, sulla cui tragedia il matematico Lagrange disse: "Alla folla è bastato un solo istante per tagliare la sua testa: ma alla Francia potrebbe non bastare un secolo per produrne una simile"? Ed è altresì interessante, per poter fare acconci paragoni col momento presente, che il genio francese fu ghigliottinato su accusa del rivoluzionario e chimico dilettante Jean-Paul Marat, al quale Lavoisier aveva in precedenza rigettato la domanda di accesso all’Accademia delle Scienze, tanto per dire "guarda un po’ che possono fare odio e invidia")
Per decenni, ad esempio, le nostre inclite, ex e post comunistiche sinistre, quelle che ancor si fregiano esser, come poco tempo fa riaffermava al Circo Massimo l’italico Obama Veltroni (l’illuminato sindaco che ha lasciato a Roma un buco di una decina di miliardi di euro), “La Meglio Gioventù” del Paese, per via che “se a destra valgono gli affari, a sinistra valgon gli ideali”, ce li hanno fatti a fettine raccontandoci che nelle felici plaghe del socialismo reale, quelle una volta protette dal contagio del marciume capitalista tramite salvifica “Cortina di Ferro”, il disgustoso fenomeno delle corruttele era pressoché sconosciuto.
Mi dispiace, francamente mi dispiace dover deludere tante anime belle, pure e immacolate, come i succitati Premi Pulitzer, o gli emuli di Obama, o i nostrani ex messianisti del “Sol dell’Avvenire” tramite Falce e Martello, ed altri numerosi lor colleghi di marxistiche e/o debenedettiane ascendenze, che dirigono e si firmano su importanti testate cartacee e televisive, quelli, insomma, che da sempre cassandreggiano sull’imminente destino da Titanic del Belpaese, per via delle diffuse corruttele elevate, secondo loro, a sistema di potere, soprattutto di quello berlusconiano.
Si dà il caso, infatti, che nei “favolosi” anni Ottanta ebbi la fortuna di collaborare con un grande regista polacco, Krzysztof Zanussi (di ascendenze friulane, poiché nell’Ottocento e nel primo Novecento, molti, da quelle lande allora sottosviluppate, emigrarono in Polonia, Paese, prima di conoscere i fasti del Comunismo, ben più ricco ed evoluto che non l’Italia), consegnando alla storia del Teatro una memorabile interpretazione del giovane Marco Antonio, nel capolavoro shakespeariano “Giulio Cesare”.
Zanussi, infatti, mi raccontò che quando i giornali polacchi riportavano a titoli cubitali i problemi di corruttela del mondo capitalista, loro, i polacchi, sogghignavano non poco: colassù circolava infatti il motto che nei Paesi beneficiati dal Comunismo, “la corruzione non è il problema, bensì la soluzione”, visto che un cittadino di Cracovia o di Varsavia, piuttosto che di Praga, Budapest o Sofia, doveva addirittura allungare una bustarella, un "pourboire", anche all’impiegato del Comune per poter avere subito un certificato, poiché altrimenti l’avrebbe aspettato per mesi interi.
Pochi anni dopo ebbi occasione di controllare la veridicità di quanto mi aveva raccontato Zanussi.
Un Teatro Lirico della capitale di un Paese dell’ex oltrecortina, di cui taccio per delicatezza il nome, poco tempo dopo la caduta del Comunismo aveva richiesto un’opera (la “Norma”) di cui avevo curato la regia per un Ente Lirico italiano.
Ma quando cercai di riallestire l’opera esattamente come l’avevo mandata in scena con successo in Italia, si presentò il problema che in quel teatro straniero pareva non vi fossero che pochi ed obsoleti fari e proiettori, per cui era impossibile riprodurre quelle sofisticate suggestioni visive che avevo promosso a pilastri portanti della "scrittura scenica" di quell’evento operistico.
Disperato mi rivolsi al direttore del teatro italiano il quale, da uomo di mondo, all’insegna del “ghe pensi mi”, mi fece vedere un malloppo di dollari che aveva in tasca: con quelli, mi assicurò, i tecnici di quel teatro avrebbero fatto venir fuori tutti i proiettori di cui avevo bisogno. E così fu.
Il simpatico direttore italiano era, infatti, aduso trattare con il personale degli Enti Lirici dell’Est comunista.
Conosceva, come si usa dire, i suoi polli, e, pertanto, aveva messo in bilancio un po’ di dollari per l’imprescindibile “pizzo”, poiché certi “comunistici” vizi, che caduto il comunismo, una volta divenuti endemici, è piuttosto difficile che in poco tempo scompaiano.
(tratto da Legno Storto del 18 luglio 2010)