Ben vengano le commissioni d’inchiesta, soprattutto se le fa Israele

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Ben vengano le commissioni d’inchiesta, soprattutto se le fa Israele

31 Maggio 2010

Di certo qualcosa non ha funzionato nell’assalto dell’esercito israeliano contro la flotta di navi dirette verso Gaza cariche di aiuti umanitari  e pronte a forzare l’embargo imposto dal governo di Tel Aviv.  L’operazione era nota da mesi, se ne conoscevano dettagli e intenzioni, i rischi erano stati a lungo calcolati da tutte le parti in gioco. Nessuno dunque si aspettava l’epilogo tragico che ha portato a 10 morti e decine di feriti.

L’impressione infatti è che il commando israeliano sia arrivato alla fase finale dell’arrembaggio senza essere preparato allo scenario peggiore pur avendo avuto tutto il tempo e tutti i mezzi per prevenirlo. Quello che è certo però è che almeno una parte dell’organizzazione che ha promosso la "Freedom Flotilla" riteneva l’eventualità di un confronto violento come possibile se non addirittura desiderabile, mentre buona parte dei pacifisti, premi nobel e parlamentati imbracati nell’operazione guardavano altrove.

Delle sei navi che componevano la flotta, cinque si sono arrese senza fare resistenza ai soldati israeliani. Solo su una, la Mavi Marmaris, battente bandiera turca ha ingaggiato una forte resistenza armata innescando la reazione dei militari. La Marmaris era partita da Istanbul il 22 maggio dopo una solenne cerimonia inaugurale dove garrivano le bandiere di Hamas e in prima fina c’erano uomini chiave dell’organizzazione palestinese e dei Fratelli Musulmani. La nave era voluta e finanziata dall’ IHH, un’organizzazione molto impegnata nell’assistenza alla popolazione di Gaza e con strettissimi legami con i vertici di Hamas che dall’ IHH ricevono importanti finanziamenti. Un’attivista di questa organizzazione impegnato in Giudea e Samaria, Izzat Shahin, è stato recentemente accusato dal governo Israeliano di finanziare le famiglie dei terroristi suicidi di Hamas ed è stato estradato in Turchia.

Il direttore dell’IHH, Bulent Yilidrim, alla cerimonia inaugurale  aveva arringato la folla senza mezzi termini: "La flotta sarà un test per Israele e se ci sarà un tentativo di bloccarla la considereremo come una dichiarazione di guerra. Se Israele proverà a fermarci rimarrà isolata nel mondo e farà molto male a se stessa". E’ esattamente quello che è successo pochi giorni dopo, quando – a seguito dell’incidente – sembra essere addirittura a rischio il tanto atteso incontro tra Netanyahu e Barack Obama.

E’ difficile dunque credere che l’obiettivo principale degli organizzatori del convoglio fosse quello di portare aiuto alla popolazione di Gaza. Anche perché in questo caso sarebbe stata accettata la proposta di Tel Aviv di sbarcare in un porto Israeliano e portare gli aiuti via terra dopo un normale controllo di sicurezza. Sembra molto più probabile che lo scopo del "convoglio umanitario", almeno per una parte dei suoi promotori, fosse esattamente quello che si è raggiunto e che Israele sia caduta appieno nella trappola.

Ora tutto il mondo chiede commissioni di inchiesta: se ne annunciano già dell’Onu e dell’Unione Europea. Ben vengano. Anche se sappiamo per esperienza, che se si mette da parte ogni residuo ideologico e di propaganda, le commissioni di inchiesta più rigorose, efficaci e impietose sono quelle che l’esercito israeliano è capace di fare su se stesso. E, almeno da parte israeliana, se qualcuno ha sbagliato pagherà. Molto più difficile sarà far emergere tutte le altre responsabilità.