Benigni e Mameli convincono e commuovono (nonostante tutto)
17 Febbraio 2011
di redazione
Roberto Benigni sa essere fazioso, partigiano oltre ogni immaginazione, capzioso, provocatore quanto basta ad un artista. Lui, che satiricamente rappresenta quella parte della cultura italiana che per decenni ha offuscato il valore del Risorgimento in nome della consacrazione di un altro risorgimento, quello dei partigiani dal fascismo, stasera, di fronte al pubblico di Sanremo, ha compiuto un atto di eroico patriottismo. Ha riletto, con qualche sbrodolatura antiberlusconiana (e antileghista), prevedibile e necessaria, per dare più autenticità alla sua prestazione – il prezzo che dobbiamo pagare noi di centrodestra – l’epopea della storia d’Italia con ardore e trasporto.
Benigni è riuscito a commuovere e convincere e a ricordare a tutti gli italiani che la celebrazione del centocinquantesimo anniversario dall’Unità d’Italia non è pura retorica. Ma che merita rispetto e conoscenza perché comincia col sacrificio degli uomini e delle donne, tutti per lo più giovanissimi, che hanno combattuto per il nostro presente. Un’epopea che si sublima nel Canto degli italiani, meglio noto come inno di Mameli e Novaro, una “marcetta” dal valor patrio incommensurabile, e nella sua bandiera, simbolico (e dantesco) crocevia tra l’italica cultura e l’italica nazione.
Insomma, una performance da grande artista, e – crediamo – anche da italiano vero, direbbe Toto Cutugno (per restare in clima Festival), nonostante Benigni si senta senz’altro italiano di quella parte d’Italia in cui crede e in cui si ritrova. Ma a noi va bene così. Ci prendiamo Benigni e la sua impresa a metà, se è servita a risvegliare un senso di appartenenza dimenticato o ancor più tristemente perduto. Ce lo prendiamo così purché non si ceda il sentimento nazionale ai patrioti dell’ultima ora, dimenticando chi da sempre fa del valore del passato e dei simboli nazionali un imprescindibile elemento di identità.
P.S. Il resto è cronaca del Festival. Con la Canalis scontatamente pariottarda, il gramsci(-azionismo) di Luca e Paolo tanto suggestivo quanto fuori luogo, e il multiculti politicamente corretto di Tricarico. Ma questo è il Festival, ce lo aspettavamo, e continuiamo a guardarlo anche per questo. Perché Sanremo è Sanremo.