Berlino, sul “profugo” pakistano ha ragione Toni Capuozzo

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Berlino, sul “profugo” pakistano ha ragione Toni Capuozzo

21 Dicembre 2016

A meno di 48 ore dall’attacco al mercatino natalizio di Breitscheidplatz, a Berlino, le autorità tedesche brancolano ancora nel buio. Chi è e che fine ha fatto il killer che lunedì sera si è lanciato con un Tir sulla folla falciando 12 persone e ferendone altre 50? Non è chiara la storia del richiedente asilo pakistano prima arrestato con l’accusa di aver partecipato all’attentato, e poi rilasciato dalla polizia tedesca dopo un interrogatorio durato 8 ore. Il giovane, un 23enne già noto alle forze dell’ordine per reati minori, era entrato sotto falso nome nel Paese. Dopo l’arresto, un commando delle forze speciali tedesche ha fatto irruzione nell’aeroporto Tempelhof di Berlino, in un hangar dove trovavano riparo degli immigrati, sequestrando dei pc e ascoltando tre o quattro persone. In attesa di capire chi è “il soldato della Jihad” (così ISIS) che sarebbe quindi a piede libero, armato (la pistola con cui ha ucciso l’autista polacco del Tir non è stata ritrovata sul luogo della strage) e potrebbe fare altre vittime, proponiamo ai nostri lettori un post pubblicato ieri su Facebook dal giornalista e reporter Toni Capuozzo. Capuozzo fa una osservazione condivisibile: come mai i pakistani rientrano tra i richiedenti asilo? Il Pakistan non è un Paese in guerra. E se dobbiamo accogliere qualcuno, queste persone dovrebbero essere donne o cristiani perseguitati. Che però, scrive Capuozzo, non appaiono negli elenchi dei richiedenti asilo.

***

Avresti potuto esserci tu, o io, o qualunque altro. Perché chiunque di noi potrebbe andare a un mercatino di Natale, non è una funzione religiosa, né una manifestazione politica: siamo noi, intesi come folla indistinta, e appetibile come target proprio perché folla indistinta. Si dice, infatti, colpire nel mucchio.

Se tutto questo fa male, è inutile fingere sorpresa. Dobbiamo invece registrare che dalla sera di Nizza sono passati solo cinque mesi, e invece ci sembra più tempo, perché dobbiamo scavare in una memoria che rimuove, scansa, esorcizza. Allora meglio essere onesti, e dire che in quello che è successo ieri sera sono i dettagli che sorprendono, non il fatto che sia successo. Sorprende la lucidità coraggiosa di quell’uomo che ha seguito per due chilometri passo passo l’attentatore, a distanza di sicurezza, per passarlo poi alla polizia.

Sorprende l’identità dell’attentatore: un pakistano arrivato come rifugiato lungo la via balcanica appena il febbraio scorso, neanche dieci mesi fa. Imbarazzante per la Merkel, ma imbarazzante per chiunque continui a spacciare i pakistani come profughi: da cosa ? Ripeto quello che ho detto molte volte: gli unici che avrebbero titolo a essere considerati profughi dal Pakistan sono le donne, o i cristiani. Per inciso: gli unici che non appaiono negli elenchi dei richiedenti asilo.

Sorprende la contemporaneità casuale con l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara. Per mano di un fondamentalista cresciuto nei ranghi della polizia (verrebbe da dire un Frankestein sfuggito di mano, un allievo che supera il maestro…) che spara in nome di Aleppo.

Anche qui un’altra coincidenza: poche ore prima Al Qaeda pubblica una lista delle ambasciate russe nel mondo, obbiettivi da vendetta: detto, fatto. Un’altra coincidenza: nello stesso giorno lo Stato islamico diffonde da Raqqa un collage di video con minacce espresse in francese alla Francia, ma con sottotitoli in italiano – è la prima volta che avviene – anche nel tutorial in cui si insegna come fabbricare in casa una bomba artigianale, ma non meno letale.

E’ la gara che segnerà i prossimi mesi: lo Stato islamico che perde, molto lentamente colpi (che fine ha fatto la battaglia di Mosul su cui molti baldanzosamente avevano fatto partire il countdown ?), e Al Qaeda che si presenta come curatore fallimentare. Due aziende del terrore che si copiano i metodi, e le loro consociate tentate dall’idea di fusione, e il mondo come cavia della contesa.

Ma torniamo ad Aleppo. Dove è evidente che non si può non essere disorientati. C’è una narrazione alla Srebrenica, “ la città martire” vittima dei russi e del regime. E c’è una narrazione alla Saigon, la “città liberata” dai gaglioffi del terrore. Ci sono evidenti tentativi di maquillage, dall’una e dall’altra parte, e probabilmente la verità è che ci sono orrori da tutte le parti, non è un mondo di buoni da una parte e cattivi dall’altra.

C’è qualcuno con cui stare ? I civili, certo, ma è un’ancora di salvezza comoda, per dire che siamo confusi. Come mai non c’era neanche un giornalista occidentale nell’Aleppo martire ? C’ è una sola risposta: il timore, o la certezza, di sequestri. Così non resta che sentirsi dei piccoli Obama, incerti sino all’ultimo sul da farsi, o guardare alla Russia come l’unico vero avversario del fondamentalismo, oppure il nuovo Grande Satana, che corrompe le elezioni altrui come faceva la vecchia America.

Di questa pasta di incertezze è fatta l’Europa di oggi, che piange Berlino. Non possiamo neanche dire “sono anch’io un berlinese” perché lo disse già John Kennedy, e non resta che colorare di giallo nero e rosso la Tour Eiffel e il Colosseo, una veglia non si nega a nessuno, specie sotto Natale. Da Berlino è prevista la partenza, il 26 dicembre, di una Marcia Civile per Aleppo, tre mesi a piedi verso la città siriana, come una manifestazione di solidarietà, apprezzabile, per i civili.

E’ il corto circuito: generosi militanti che percorreranno all’inverso la stessa rotta balcanica battuta dal pakistano che ha cominciato con l’uccidere un camionista polacco. Arrenderci alla barbarie ? Forse sarebbe il caso, intanto, di compiangere la nostra confusione, questo Natale permanente, questo presepio accogliente e comodo dove l’altro è sempre un Gesù Bambino, questa Europa irrilevante e marginale come un mercatino di rami d’abete, candele rosse e stelle filanti.