Berlusconi come Fidel Castro in Iraq
16 Marzo 2010
di redazione
Per un giorno e quasi in simultanea sulle agenzie, hanno esternato più o meno le stesse cose, come se fossero ancora compagni di partito, il Pd. Ovviamente contro Berlusconi, ma con toni così grevi, conditi con un tale livore che, di primo acchito, si fa fatica a immaginarli nella bocca di Nicola Latorre (dalemiano doc) e di Francesco Rutelli (margherito, poi piddì, ora leader di Api). Entrambi fino a ieri ammantati dall’aura di moderati , riformisti, con quel tocco di aplomb inglese che non guasta mai, anche in politica.
Non è così perché a stretto giro l’uno dall’altro Rutelli e Latorre hanno abbandonato aplomb e fair play per inseguire sullo stesso terreno – non solo lessicale – il prode Di Pietro col suo armamentario di giustizialismo d’antan. Il quid è presto detto. Secondo il verbo di Latorre, Berlusconi in Italia è come Fidel Castro a Cuba (ma a proposito, il compagno del “Che” non era l’icona dei post-comunisti?) perché andare in piazza non è reato ma “che un presidente del Consiglio lo faccia per le elezioni regionali mi lascia perplesso. L’ultima manifestazione del genere credo sia avvenuta con Fidel Castro a Cuba”.
E che dire dell’ex sindaco di Roma, ex candidato premier del centrosinistra ed ex co-fondatore del Pd, Rutelli? Lui si spinge oltre e argomenta la sua granitica certezza: “Queste elezioni regionali sono caratterizzate da una assoluta mancanza di trasparenza, peggio che in Iraq”, sempre per colpa del Cav. che “ancora una volta è il tema dominante” della campagna elettorale. Il che, con tutto quello che sta accadendo – dai giudici che vorrebbero decidere chi può votare o meno come accaduto in Lazio e Lombardia, passando per Trani e dintorni – non è poi così scandaloso, se si considera che la manovra di accerchiamento sul Cav. impegna ormai da diverse settimane tutta la sinistra (come ai tempi dell’Unione in salsa anti-berlusconiana) e pezzi di magistratura politicizzata.
Ma a ben guardare da che pulpito viene la predica, forse in questo doppio j’accuse è possibile intravedere una ragione che con la politica – quella alta – ha ben poco a che spartire: questione di visibilità si potrebbe dire mutuando dalla canzone di Mina e Cocciante. Perché Francesco Rutelli dopo l’addio al Pd è praticamente scomparso dalla scena politica e nonostante i proclami e le kermesse mediatiche, la sua Alleanza per l’Italia segna il passo di consensi da prefisso telefonico. Quanto a Nicola Latorre, il crollo del “laboratorio” pugliese dalemian-casiniano pensato come trampolino di lancio per cacciare il Cav. da Palazzo Chigi, ha costretto tutti gli uomini del lider maximo a un low profile. Almeno per un po’ di tempo. Condizione assai difficile da sostenere e così, ogni tanto, per farsi sentire, occorre sparare ad alzo zero. Come in questo caso, contro quel “Fidel” di un Cav.