Berlusconi comincia a disegnare il nuovo partito

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Berlusconi comincia a disegnare il nuovo partito

30 Aprile 2008

Si ricomincia, dunque, da Denis Verdini. Già, perché fatto il popolo della libertà c’è da fare il PdL, e la scelta dell’uomo cui Silvio Berlusconi ha intenzione di affidare le redini di Forza Italia come coordinatore nella delicatissima fase del traghettamento verso il partito unitario è più eloquente di qualsiasi dichiarazione d’intenti.

Leader azzurro in quella Toscana dove alle ultime elezioni l’erosione dello strapotere rosso ha cominciato a mostrare qualche crepa (si veda il caso di Viareggio), capo della segreteria politica del coordinamento nazionale negli anni del radicamento sul territorio e della formazione di una classe dirigente, editore per passione e banchiere per professione, duro quando serve (a lui è toccato l’ingrato compito di sfoltire la schiera degli aspiranti parlamentari) e goliardico quanto basta a non confinarlo nell’immagine ingenerosa che il difficile incarico e l’assoluta mancanza di esibizionismo e di leziosità mediatica gli hanno talvolta ritagliato addosso.

Tutto questo per dire che se il Cav ha voluto Denis Verdini è perché sa che dopo l’affratellamento elettorale il percorso per la fusione di due partiti così diversi per storia e per struttura non sarà affatto in discesa. E le pur comprensibili frizioni che stanno accompagnando la formazione della squadra di governo ne sono un assaggio.

Un esempio? Basta prendere un forzista e un alleanzino, e domandare loro cosa significa la conquista del Campidoglio da parte di Gianni Alemanno per gli equilibri fra le due formazioni politiche.

Il primo ti risponderà che il Comune di Roma vale più di un ministero, quindi la richiesta di ingrassare la pattuglia che da via della Scrofa è destinata ad approdare nell’esecutivo è irricevibile. L’aennino replicherà che la scalata al Colle capitolino è stata un onere oltre che un onore, dunque la fascia tricolore da sindaco della Capitale va considerata una risorsa in più offerta al centrodestra piuttosto che una casella occupata da contabilizzare nella suddivisione dei posti di comando. Replicherà allora il forzista – anche Berlusconi l’ha fatto esplicitamente – che l’onere non se l’è sobbarcato soltanto Alleanza nazionale, dunque il merito della vittoria è anche e soprattutto di Forza Italia e del suo leader. A quel punto, l’aennino passa al calcolo su scala nazionale: perché è vero, spiega, che la guida del Campidoglio è una posizione di grande potere e una formidabile vetrina politica, ma è altrettanto vero che nel computo dei campanili agli azzurri sono toccate città elettoralmente “blindate” e comunque prestigiose come Palermo e soprattutto Milano, con tanto di Expo2015. Ci fermiamo qui per non tediarvi, ma immaginiamo che i nostri due interlocutori immaginari andrebbero avanti per ore. Ergo, la questione è tutt’altro che semplice. Figurarsi quando si tratterà di incasellare nomi e ruoli negli ingranaggi di un nuovo partito, destinato a durare ben di più di un pur promettente governo.

Sul fronte parlamentare, la questione appare decisamente più semplice. Il bicameralismo perfetto consente lo “sdoppiamento” delle funzioni, cosicché a Renato Schifani presidente di Palazzo Madama corrisponde Gianfranco Fini presidente di Montecitorio; parimenti, a Maurizio Gasparri capogruppo del PdL al Senato farà da contraltare Fabrizio Cicchitto come capo dei deputati del gruppo unitario. E proprio nell’ottica del processo costituente del Popolo della Libertà, Gasparri e Cicchitto saranno a loro volta affiancati da vicari, rispettivamente di Forza Italia e di An.

Cicchitto, dunque, trasferirà nell’Aula l’impegno profuso in questi anni come vicecoordinatore, mentre al coordinatore uscente Sandro Bondi con ogni probabilità verranno attribuite responsabilità di governo. Ma le novità non finiscono qui. E’ notizia di queste ore, infatti, che il governatore della Lombardia Roberto Formigoni è stato indicato da Berlusconi vicepresidente di Forza Italia. Anche la scelta di un altro “uomo forte” come Formigoni per la carica di vicepresidente del partito appare tutt’altro che casuale; non solo, dunque, un “risarcimento” per la mancata attribuzione di quel ruolo di primo piano nelle istituzioni nazionali – la presidenza del Senato o un ministero “di peso” – al quale il presidente della Lombardia aveva aspirato, ma anche la consapevolezza, cui un comunicato di via dell’Umiltà dà voce piuttosto esplicitamente, che in ballo c’è la gestione del “processo costituente del nuovo grande movimento politico che unisce finalmente i moderati, i liberali, i cattolici, i laici, i riformisti, cioè tutti gli italiani che non si riconoscono nella sinistra”. Soprattutto, anche se questo non viene detto a voce alta, c’è da mettere in piedi un partito che nasce dalla fusione di altri due. E non è una scommessa da poco.