Berlusconi e Bossi, muro contro la grande ammucchiata: o fiducia o voto
16 Novembre 2010
Il Cav., il Senatur, l’ex pm di Mani Pulite. C’è un filo che lega la maggioranza e un pezzo delle opposizioni: elezioni se alla Camera la fiducia non dovesse passare. Sull’altro fronte, l’asse Fini-Casini-Rutelli-Lombardo-Bersani che giocano la carta del ribaltone. Paradossi e realtà della crisi. Berlusconi e Bossi ad Arcore confermano la linea: avanti col governo, senza dimissioni del premier, nè un Berlusconi-bis. Dopo la finanziaria, la parola passerà al Parlamento e se i numeri non ci saranno l’unica via è il voto.
Niente subordinate. Passa la linea del premier rispetto a chi dentro il Pdl guarda a una parte della Lega che fino a ieri non aveva escluso l’opportunità di valutare una strada alternativa, quella della crisi pilotata, per evitare la definitiva accelerazione degli eventi e l’avvio della macchina elettorale. Oggi al Colle c’è il vertice coi presidenti delle Camere ma nella maggioranza sono in molti a prevedere che “non accadrà nulla" rispetto alla road map già tracciata.
Se così sarà, cosa succede adesso? Il percorso “normale” è in sostanza abbastanza chiaro, sta nelle cose che sono accadute in questi giorni, culminate ieri con l’uscita dei finiani dal governo. Ma se il percorso c’è, quello che manca è capire come e se in questa direzione si possano inserire delle incognite. A leggere in profondità tra le pieghe della crisi aperta dai futuristi ce ne sono almeno due ipotizzabili. Partiamo dal percorso: la legge di stabilità questa settimana sarà in Aula alla Camera, poi seguirà l’iter al Senato secondo una tabella di marcia temporale quantificabile in un mese. Solo dopo questo passaggio Berlusconi andrà a Palazzo Madama dove il Pdl ha già presentato una mozione a sostegno di questo governo e di questo premier.
I numeri ci sono e il margine è ampio – si ragiona tra i banchi della maggioranza – anche al netto dei senatori “irrequieti” (due o tre, ad oggi i parlamentari potenzialmente tentati dal cambio di casacca). Dal Senato alla Camera, dove non tutto è così scontato come i vaticini di Bocchino e Granata prospettano ormai da giorni. Se è vero che pallottoliere alla mano il centrodestra non ha una maggioranza numerica tale da essere autosufficiente, è altrettanto vero che il “gioco” delle mozioni tra Bersani e Di Pietro da un lato e Fini,Casini e Rutelli dall’altro rischia di rivelarsi un boomerang per i nuovi “trasformisti” che puntano al ribaltone liquidando una volta per tutte il Cav.
Come fa Bersani che da oggi ha una nuova grana da gestire dentro il Pd dopo l’ennesima batosta che Vendola gli ha rifilato a Milano con la vittoria di Pisapia sul candidato democrat (e politically correct) Boeri, di fatto rilanciando l’Opa sul centrosinistra, a votare la mozione dei novelli terzopolisti? E come fa Di Pietro a perdere la faccia (politicamente) di fronte all’elettorato giustizialista-populista sostenendo l’iniziativa di Fini col quale ha già detto di non volere avere nulla a che spartire? Dall’altro lato, come fanno i futuristi ad accodarsi agli “amici” della sinistra? Sarebbe una conferma del tentativo di inciucio che si sta consumando all’ombra di Palazzo Chigi, in barba al mandato ricevuto dagli elettori due anni e mezzo fa. E se la via maestra restano le elezioni anticipate in primavera, per il presidente della Camera non sarà facile spiegarlo al popolo della “nuova destra”.
Certo, pur di buttare giù dalla torre Berlusconi va bene anche il modello “armata Brancaleone” e se il fine giustifica il mezzo nessuno starà tanto lì a sottilizzare. Ma un conto sono i giochi di Palazzo, ben altro è il voto nell’urna. Nel caso in cui alla Camera passi la mozione di sfiducia a quel punto il capo dello Stato scioglierà le Camere e Berlusconi salirà al Colle. Se si guarda alla prassi e ai precedenti, Napolitano dovrebbe affidare un mandato esplorativo al presidente del Senato Schifani per verificare se il voto anticipato può essere ancora scongiurato.Fin qui il percorso “normale” di una crisi che, tuttavia, per i modi e i tempi nei quali si è consumata di normale ha ben poco. Le incognite. La prima: se si sta al verbo futurista-casinian-rutellian-bersaniano, sarà alla Camera che il Cav. cadrà definitivamente e non è un caso che i nuovi trasformisti invochino regole e sofismi per giocare d’anticipo sul Senato. Ma non è fantapolitica ipotizzare che alla fine visto che né Bersani né Fini vogliono tornare dagli elettori, la mozione di sfiducia possa essere bocciata e magari che il premier riesca a racimolare una maggioranza seppure risicata. Così i piani terzopolisti andrebbero all’aria anche se in quel caso, sono in molti nel Pdl a intravedere per il governo e la maggioranza una navigazione a vista (un po’ secondo lo schema di Prodi al Senato nel 2008) che non garantirebbe la stabilità necessaria per completare il programma di governo, riforme in testa. E di fronte a questa prospettiva non c’è altro da fare che tornare davanti agli elettori.
E nella giornata in cui Fini fa uscire da Palazzo Chigi i suoi ministri c’è più di un paradosso a sottolineare le ambiguità e le contraddizioni dell’asse terzo polista. Gli indizi stanno nelle parole del pasdaran futurista Granata che lancia segnali e messaggi alle retrovie malpanciste di Pdl e Lega nel tentativo di costruire l’unica condizione possibile per tentare il ribaltone e cioè il distacco dalla maggioranza di un numero consistente di parlamentari pronti a “tradire” il mandato elettorale e passare nelle file dei nuovi trasformisti. “La fine del berlusconismo determinerà la nascita della terza repubblica” prevede Granata convinto che “saranno i valori della legalità, della solidarietà e della giustizia sociale, oltre a un moderno assetto federale per responsabilizzare le nuove classi dirigenti, a rappresentarne i tasselli fondamentali”. L’auspicio è che lo stesso ragionamento convinca al grande passo quei settori di Pdl e Lega “che non si sono mai sentiti rappresentati da certi vertici”. Più che un auspicio futurista pare un segno di debolezza della “gioiosa” macchina da guerra che si vuole mettere in moto.
A questo si aggiunge un dato, difficile da comprendere se l’appello al chi ci sta ci sta per togliere di mezzo il Cav., viene dall’esponente di un partito – Fli – che in questi mesi ha ripetuto fino alla noia il refrain della legalità e poi in Sicilia non solo contribuisce insieme a Casini, Bersani e lo stesso Lombardo al “ribaltone” a Palazzo dei Normanni, ma non ha nulla da dire sul piano dell’opportunità politica, sull’inchiesta per presunti contatti con esponenti mafiosi che tira in ballo il governatore siciliano.
Che dire poi di Bocchino il quale invoca il “governo di responsabilità anche con la sinistra e afferma che Berlusconi “di diritto dovrebbe essere il presidente del Consiglio ma per storia personale è il meno adatto a ricoprire il ruolo di presidente del governo di responsabilità nazionale”. Un concetto zeppo di contraddizioni: chi è Bocchino per giudicare la storia personale di un premier? E poi con questo premier che ha questa storia personale così discutibile secondo il “verbo” futurista , Fini, Bocchino e tutti gli altri ci sono stati per sedici anni. Se oggi la storia personale di Berlusconi è un problema come mai non lo è stato in tutti questi anni?
Ma la sintesi di ciò che si muove nei Palazzi romani dalle parti dei novelli moralizzatori della politica sta nella ‘corrispondenza’ di amorosi sensi tra Rosy Bindi e Carmelo Briguglio dalle colonne di Repubblica. La ‘pasionaria’ democrat dice che l’elettorato di sinistra ‘capirebbe’ un’eventuale alleanza che va da Sel (Vendola) fino a Fli, un’alleanza “in nome della Costituzione e della democrazia nel caso in cui si andasse al voto anticipato con l’attuale legge elettorale”.
Con buona pace di chi come Gentiloni e Fioroni rispediscono al mittente la proposta bindian-futurista, specie dopo la batosta delle primarie a Milano. E Bersani? Il gioco di Palazzo è svelato.