Berlusconi e il 25 aprile: da oggi la Liberazione ha un nuovo significato

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Berlusconi e il 25 aprile: da oggi la Liberazione ha un nuovo significato

25 Aprile 2009

La decisione di Silvio Berlusconi di celebrare il 25 aprile può essere letta come un ennesimo sintomo della sua forza. Avendo acquisito un’evidente posizione di predominio – quasi di solitudine – sulla scena politica italiana, il Presidente del Consiglio può tentare di sostituire una diffusa interpretazione della Liberazione dal fascismo, un’interpretazione «di sinistra», a lui sfavorevole e anzi del tutto ostile, con una che possa invece includerlo. Perché non è tanto con il 25 aprile in sé che ha finora avuto problemi Berlusconi. Quanto piuttosto con uno specifico modo di intendere quella festa.

Con la sua «discesa in campo» il Cavaliere ha voluto mettere indietro tre volte l’orologio della storia. Dal 1994, ha cercato di metterlo indietro di cinque anni. Di fronte al paradosso di Tangentopoli, che – malgrado a livello internazionale il comunismo fosse stato sconfitto – travolgeva i partiti di governo e avviava i post-comunisti al potere, la nascita di Forza Italia e del Polo della Libertà rivendicava il valore del 1989: la caduta del Muro, il collasso dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti. Ossia, la vittoria storica dell’anticomunismo.

Dal 1994, poi Berlusconi ha tentato di rimettere indietro l’orologio di quarant’anni, contestando la «svolta» progressista degli anni Sessanta: gli anni nei quali ha cominciato a indebolirsi il diaframma della Guerra Fredda che teneva separate le forze di governo dai comunisti; gli anni nei quali i partiti politici (e il Pci fra di loro) si sono affermati come i protagonisti assoluti della vita pubblica italiana; gli anni della «rinascita» dell’antifascismo, e di un antifascismo connotato spesso in senso radicale. Non per caso, i riferimenti storici positivi del Presidente del Consiglio appartengono tutti, a cominciare da Alcide De Gasperi, all’età del centrismo: i tardi anni Quaranta e gli anni Cinquanta. Dal 1994, infine, Berlusconi ha cercato di rimettere indietro l’orologio di sessant’anni, «sdoganando» il Movimento sociale italiano.

In tutti e tre i casi il 25 aprile non poteva che essere un problema. L’alleanza con un partito post-fascista – l’arretramento del tempo storico di sessant’anni – entrava infatti in rotta di collisione con la celebrazione della Liberazione dal fascismo. Anche se il Msi sarebbe diventato Alleanza Nazionale, avrebbe accettato la democrazia liberale e avviato il suo lento distacco dalla memoria del Ventennio. Ma ancor di più entravano in rotta di collisione con una certa interpretazione del 25 aprile gli altri due arretramenti del tempo storico, di quaranta e di cinque anni. Per «quella» interpretazione del 25 aprile, infatti, diventata nei decenni assai robusta, la Liberazione doveva essere letta tutta «a sinistra». Doveva essere liberazione dal fascismo sì, ma pure dal moderatismo, dal conservatorismo, dalla stabilità borghese, dal capitalismo e dalla tradizione cattolica. E finiva quindi per avere un rapporto assai stretto con il comunismo.

Non per caso, se Berlusconi ha guardato con diffidenza al 25 aprile, «quel» 25 aprile ha guardato spesso con aperta ostilità a Berlusconi. Come nel 1995, quando un gruppetto di esponenti di Forza Italia intenzionati a partecipare al corteo milanese ne fu espulso senza troppi complimenti. O nel 2006, quando a Letizia Moratti toccarono fischi e insulti. E non per caso, ancora, quando il Cavaliere si è riferito positivamente al 25 aprile, come nel discorso pronunciato nel 1998 al primo congresso di Forza Italia, lo ha fatto collegando quella data al 18 aprile del 1948, il giorno delle elezioni che segnarono il trionfo della Dc e la sconfitta del Pci. Liberazione dal fascismo sì – questo il messaggio –, purché però sia liberazione anche dal comunismo.

Nella scelta di Berlusconi di celebrare quest’anno il 25 aprile, perciò, è implicita la volontà di contestare l’interpretazione «di sinistra» della Liberazione, e di affermare una diversa lettura di quegli eventi. Anch’essa antifascista, certo. Ma moderata, non radicale. Inclusiva, non esclusiva. Dal Partito democratico, allora, fanno bene a essere contenti, e a pensare che il Presidente del Consiglio stia scendendo sul loro terreno. Facciano attenzione, però. Nel momento stesso in cui scende su quel terreno, e con tutta la forza che ha ora, il Cavaliere lo trasforma profondamente. E lancia a sua volta una sfida ai Democratici: quella a non usare mai più l’antifascismo – e neppure quella forma peculiare di antifascismo che è l’antiberlusconismo – come un’arma politica.

Per l’Italia, infine, questa decisione potrebbe avere una conseguenza al contempo paradossale e positiva. Il paradosso consiste nel fatto che una festa intrinsecamente novecentesca come il 25 aprile potrebbe segnare un ulteriore momento di distacco dell’Italia dalle controversie politiche del secolo scorso. E la notizia positiva è proprio quella che il Novecento diviene ancora più distante. Quell’epoca, l’epoca del fascismo e del comunismo, è finita vent’anni fa. Prima ne prendiamo atto, meglio è. 

© Il Mattino