Berlusconi non è un santo e il Vaticano lo ha sempre saputo

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Berlusconi non è un santo e il Vaticano lo ha sempre saputo

Berlusconi non è un santo e il Vaticano lo ha sempre saputo

21 Gennaio 2011

Nel marasma politico giudiziario scatenato dall’affaire Ruby poche cose sono certe tranne questo (e poco altro): Berlusconi non è un Santo. Non lo è mai stato, non ha mai detto di esserlo. Probabilmente non lo sarà mai, anche se le strade della redenzione, si sa, sono infinite. Eppure Berlusconi ha sempre avuto nei confronti della chiesa cattolica e dei cattolici un rapporto di franco e profondo rispetto. Non si è mai sognato di avocare a sé diritti che spettano solo ai credenti. Non ha mai tirato il Papa “per la giacchetta”. Non ha mai strumentalizzato o demonizzato il legame col Vaticano. Ma ha sempre guardato con attenzione agli interessi di quella parte del paese che si riconosce nella religione e professa il credo cattolico, in qualche modo, sempre il suo, cercando di fare dei suoi vizi privati delle pubbliche virtù, quasi a voler con la sua azione politica esorcizzare la sua stessa natura, il suo privato più privato.

Berlusconi – attraverso gli uomini e le donne del suo governo – ha difeso la famiglia, ha difeso la vita, si è battuto per il riconoscimento delle radici cristiane, per i crocefissi nelle aule scolastiche, per la tutela della dignità di ogni persona, anche quelle in stato vegetativo, per una educazione responsabile da offrire ai nostri giovani. Lui, scomposto puttaniere senza famiglia (tradizionale) e  dal comportamento irrituale, per non dire irriverente (ancora fa le corna nelle foto istituzionali…), ha detto e fatto molto di più dei più irreprensibili cattolici adulti che predicano dal pulpito con grandi parole un credo tutto personale, fatto su misura e in base alle esigenze più in voga al momento.

Per tutto questo, in passato, in molti gli hanno dato del baciapile, del servo della Chiesa. Hanno detto che la sua azione di governo era orientata a fare solo gli interessi d’Oltretevere, hanno gridato alla ingerenza assoluta delle gerarchie sulla politica italiana, hanno combattuto battaglie politiche in nome della  laicità dello Stato, sono perfino arrivati al punto di negare al Papa il diritto di parlare alla Sapienza davanti agli studenti. Ebbene, oggi quegli stessi irreprensibili accusatori chiedono a gran voce un giudizio morale da parte del Vaticano sulla vergognosa condotta del presidente del Consiglio. Titolano i loro editoriali “il Papa non taccia” e subito dopo affermano, con giubilo e orgogliosa soddisfazione, che per una volta l’ingerenza del Papa sarebbe benedetta.

In questa inaccettabile logica della doppia morale, vizietto permanente di chi si crede antropologicamente superiore, il Papa ha davvero parlato. E lo ha fatto non perché imbeccato da questo o quel maestro di pensiero e di morale, bensì ispirato da un desiderio di verità.

Benedetto XVI ha detto: "Il nostro mondo, con tutte le sue nuove speranze e possibilità, è attraversato, al tempo stesso, dall’impressione che il consenso morale venga meno e che, di conseguenza, le strutture alla base della convivenza non riescano più a funzionare in modo pieno. Si affaccia pertanto in molti la tentazione di pensare che le forze mobilitate per la difesa della società civile siano alla fine destinate all’insuccesso. Di fronte a questa tentazione, noi, in modo particolare, che siamo cristiani, abbiamo la responsabilità di ritrovare una nuova risolutezza nel professare la fede e nel compiere il bene, per continuare con coraggio ad essere vicini agli uomini nelle loro gioie e sofferenze, nelle ore felici come in quelle buie dell’esistenza terrena".

"Ai nostri giorni – ha continuato il Papa – grande importanza è data alla dimensione soggettiva dell’esistenza. Ciò, da una parte, è un bene, perché permette di porre l’uomo e la sua dignità al centro della considerazione sia nel pensiero che nell’azione storica. Non si deve mai dimenticare, però, che l’uomo trova la sua dignità profondissima nello sguardo amorevole di Dio, nel riferimento a Lui. L’attenzione alla dimensione soggettiva è anche un bene quando si mette in evidenza il valore della coscienza umana. Ma qui troviamo un grave rischio, perché nel pensiero moderno si è sviluppata una visione riduttiva della coscienza, secondo la quale non vi sono riferimenti oggettivi nel determinare ciò che vale e ciò che è vero, ma è il singolo individuo, con le sue intuizioni e le sue esperienze, ad essere il metro di misura; ognuno, quindi, possiede la propria verità, la propria morale. La conseguenza più evidente è che la religione e la morale tendono ad essere confinate nell’ambito del soggetto, del privato: la fede con i suoi valori e i suoi comportamenti, cioè, non avrebbe più diritto ad un posto nella vita pubblica e civile. Pertanto, se, da una parte, nella società si dà grande importanza al pluralismo e alla tolleranza, dall’altra, la religione tende ad essere progressivamente emarginata e considerata senza rilevanza e, in un certo senso, estranea al mondo civile, quasi si dovesse limitare la sua influenza sulla vita dell’uomo".

"Al contrario, per noi cristiani – ha affermato ancora Papa Benedetto – il vero significato della "coscienza" è la capacità dell’uomo di riconoscere la verità, e, prima ancora, la possibilità di sentirne il richiamo, di cercarla e di trovarla. Alla verità e al bene occorre che l’uomo sappia aprirsi, per poterli accogliere in modo libero e consapevole. La persona umana, del resto, è espressione di un disegno di amore e di verità: Dio l’ha "progettata", per così dire, con la sua interiorità, con la sua coscienza, affinché essa possa trarne gli orientamenti per custodire e coltivare se stessa e la società umana".

"Le nuove sfide che si affacciano all’orizzonte – conclude – esigono che Dio e uomo tornino ad incontrarsi, che la società e le Istituzioni pubbliche ritrovino la loro "anima", le loro radici spirituali e morali, per dare nuova consistenza ai valori etici e giuridici di riferimento e quindi all’azione pratica. La fede cristiana e la Chiesa non cessano mai di offrire il proprio contributo alla promozione del bene comune e di un progresso autenticamente umano".

Forse il Papa parlava a Silvio Berlusconi. Ma di certo non parlava solo a lui o di lui.