Berlusconi non ha avuto tutti i torti a smentire Draghi sui precari

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Berlusconi non ha avuto tutti i torti a smentire Draghi sui precari

05 Giugno 2009

Smentire Mario Draghi mentre parla ex cathedra, svolgendo le consuete Considerazioni finali, è un gesto osé anche per Silvio Berlusconi. C’è da augurarsi allora che il premier si sia documentato correttamente prima di infilarsi in una insidiosa "guerra dei numeri".

In verità, ci saremmo aspettati dal Governatore valutazioni più compiute e assai meno laconiche di quelle esposte in argomento all’Assemblea dei Partecipanti. Per chiarezza, riprendiamo, di seguito e parola per parola, le affermazioni di Draghi.

"Si stima – ha detto – che 1,6 milioni di lavoratori dipendenti e parasubordinati non abbiano diritto ad alcun sostegno in caso di licenziamento". Come si determina questo numero, il Governatore non lo ha spiegato. E quindi non è affatto agevole interpretarne il pensiero. L’indennità di disoccupazione ordinaria, infatti, è un istituto previdenziale affidato all’Inps e finanziato attraverso la contribuzione sociale a carico dei datori di lavoro. Peraltro la disoccupazione involontaria è uno degli eventi tutelati indicati, in modo non tassativo, nell’articolo 38 della Costituzione. La protezione relativa si estende a tutti i lavoratori subordinati, eccezion fatta per quelli che godono della stabilità del posto (esempio il pubblico impiego) per i quali il rischio della disoccupazione non sussiste. All’indennità prevista si aggiunge l’assegno per il nucleo familiare. E’ poi stabilito un trattamento speciale di disoccupazione – l’indennità di mobilità – a favore dei dipendenti delle imprese industriali non edili (per i quali opera il trattamento speciale di disoccupazione) e delle imprese commerciali con più di 200 dipendenti.

Va ricordato, tuttavia, che nel nostro ordinamento non è tutelata l’inoccupazione. Soltanto i dipendenti che perdono il lavoro hanno diritto all’indennità, sempre che possano fare valere alcuni requisiti lavorativi e contributivi, ragguagliati ai diversi trattamenti che sono riconosciuti, perché – va ammesso – la disciplina è complessa essendo il frutto di uno stillicidio di norme accumulatesi nel tempo, piuttosto carenti sul versante della linearità.

Differente è il caso dei parasubordinati. In questo segmento del mercato del lavoro non è prevista una forma di tutela organica della disoccupazione involontaria, anche se l’attuale Governo – per la prima volta – ha introdotto, limitatamente ai c.d. collaboratori in regime di monocommittenza (quelli che lavorano cioè per un solo committente e sono la grande maggioranza) che perdono il posto, una indennità c.d. di reinserimento – una tantum – pari al 20% del reddito di riferimento.

Berlusconi ha promesso che il Governo per questi casi è alla ricerca di nuovi interventi. Ma, tornando ai dati, quanti sono i collaboratori? In proposito esistono solo delle stime, dal momento che non fa testo il numero delle posizioni contributive registrate dalla Gestione separata presso l’Inps, la "casa comune" dei parasubordinati. Infatti, se un collaboratore istaura in un anno più rapporti viene contato per un numero di volte corrispondente. Se si vuole, al contrario, ragionare di persone, bisogna accontentarsi di stime (quelle più credibili si attestano intorno a 300-400mila unità). Ecco perché la stima di Draghi si spiega soltanto se si tiene conto non degli aventi diritto in astratto, ma di coloro che non hanno maturato i requisiti. Mi spiego meglio. Può esservi benissimo un lavoratore a cui è riconosciuta l’indennità di disoccupazione, ma che perde il posto senza aver maturato i requisiti ordinari (un’anzianità contributiva di almeno due anni e un anno di contribuzione nell’ultimo biennio); e neppure quelli ridotti (almeno 78 giornate lavorative nell’anno solare). Questi requisiti non sono nuovi né estemporanei, ma corrispondono a precise esigenze di trasparenza in un Paese come il nostro incline a clamorosi scandali e abusi (soprattutto in agricoltura e nel Mezzogiorno).

Che la materia sia da riordinare è evidente, ma non è onesto imputare al Governo problemi e ritardi storici e strutturali (sono almeno quattro legislature che si alimenta la ‘speranza delusa’ di una riforma degli ammortizzatori sociali). Ma è lo stesso Governatore a riconoscere l’importanza di quanto attuato dalla maggioranza quando afferma che "opportunamente il Governo ha già incluso tra le misure anticrisi meccanismi temporanei di sostegno al reddito che agiscono anche in caso di sospensione dell’attività nelle imprese non coperte da cassa integrazione. Ha inoltre previsto un intervento sperimentale a favore di un parte dei collaboratori a progetto". Sono questi ultimi il ventre molle dell’operazione. Ma a tal proposito bisogna intendersi. La legge Biagi non si muoveva nella logica (cara alle tante parrocchie della sinistra) di considerare questi lavoratori (con contratti a progetto) come subordinati di serie B. Ma come una forma di lavoro autonomo. In forza di quella legge tanto vituperata, per le collaborazioni fasulle opera una presunzione giuridica secondo la quale tali rapporti (qui sta il ruolo della certificazione) devono essere trasformati in contratti di lavoro a tempo indeterminato.

George Danton affermava che le persone dispongono soltanto di quei diritti che sono capaci di difendere. Bisognerà prenderne nota ogni tanto.