Berlusconi non ha più tempo: cambi passo e rimetta in gioco il Pdl

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Berlusconi non ha più tempo: cambi passo e rimetta in gioco il Pdl

13 Giugno 2011

La maggioranza degli italiani non vuole il nucleare, non vuole una migliore e più razionale gestione della rete idrica, non vuole che venga ripristinato l’istituto dell’immunità parlamentare (perché questo sottintendeva il quesito sul legittimo impedimento). Bisogna prenderne atto. Altro non c’è da fare. Ma, nel contempo, si ha anche l’impressione che se non proprio nella stessa misura, gli elettori hanno mandato un messaggio ultimativo a Berlusconi, al suo governo, al centrodestra. Non ci si può nascondere dietro il classico dito, dunque.

Sommando il risultato amministrativo con quello referendario, viene fuori inequivocabilmente uno scenario nel quale la maggioranza è diventata minoranza nel Paese. Ma questo non vuol dire che deve staccare la spina e promuovere il proprio suicidio elettorale anticipando la fine della legislatura come vorrebbero le opposizioni (non so poi quanto sinceramente).

È piuttosto il caso che al fine di evitare di vedersi ratificare dal popolo tra un anno o due un verdetto che con tutta evidenza sarebbe negativo se l’attuale trend non dovesse modificarsi, il Pdl, si facesse carico di tutto il disagio manifestato dal suo stesso elettorato traendone l’unica lezione possibile: il dovere di mutare radicalmente indirizzo per ciò che attiene la sua politica, le sue strategie, la sua classe dirigente, nei modi e nelle forme che verranno ritenuti più opportuni non soltanto da chi ha guidato finora il partito, ma anche da chi ha subìto, soprattutto a livello periferico ed in maniera subalterna e marginale a livello parlamentare, le scelte di oligarchi che si sono ben guardati dal coinvolgere intorno ad esse la base e gli eletti che, come in ogni formazione politica che si rispetti, dovrebbero essere sempre discusse e condivise.

Oggi, tra l’altro, viene certificato che il potere dei diadochi non basta più: semmai è servito a conquistare il potere mantenendolo per una stagione, più o meno lunga, certo non ha prodotto i risultati che era lecito attendersi. Le riforme annunciate per anni non si sono viste, il Paese non è cambiato, la società italiana risulta impoverita culturalmente al punto di non comprendere la giustezza di battaglie modernizzatrici, concretatesi in poche leggi, come dimostrano le bocciature referendarie le quali, al di là della valenza politica, ci fanno intendere come il ceto politico dominante non abbia appunto preparato i cittadini a proiettare su un orizzonte possibile, ma anche avventuroso le loro richieste di innovazione, scacciando i fantasmi dell’ossessione nichilistica trasudante da una pubblicistica menzognera ed allarmista. La propaganda della sinistra, insomma, ha avuto ancora una volta la meglio, mentre il centrodestra si è dannato l’anima non per penetrare nei gangli vitali degli orientamenti di senso, dove si formano le dinamiche sociali ed intellettuali, ma per espungere “pericolosi sovversivi” dalla Rai, tanto per fare un esempio, senza minimamente immaginare che sarebbe stato più produttivo aggiungere piuttosto che tentare – peraltro senza ottenere apprezzabili risultati – di sottrarre o costruire “vittime” che si sarebbero offerte come prove della deriva assolutistica acquisita da chi pure si era presentato avvolto nelle vesti del liberale.

Insomma, la faccenda si è fatta complessa e maledettamente critica perché chi avrebbe dovuto rivoluzionare il sistema si è fatto imprigionare dallo stesso. E a poco serve raccogliere le critiche costruttive, anche se corrosive talvolta, formulate in tempi non sospetti, e rilanciarle in questa occasione a testimonianza che c’era stato qualcuno che aveva messo in guardia il centrodestra di fronte all’emergere di questioni che andavano affrontate per come la loro stessa gravità imponeva, non certo – tanto per essere chiari – con escamotage populistici ed approssimazioni demagogiche, ma con analisi profonde sui mutamenti socio-culturali del nostro tempo rispetto ai quali tanti cooptati nella sfera del potere berlusconiano neppure immaginavano.

Non è certo consolante concludere dicendo che è bene tenersi ciò che è stato prodotto, compresa la spocchia e l’ingratitudine di sindaci e presidenti di regioni, oltre che di parlamentari sprovveduti, che non hanno compreso la strumentalizzazione dell’occasione referendaria ed hanno ripagato chi li ha sostenuti facendo vincere coloro che hanno messo in piedi l’ignobile sceneggiata che produrrà danni incalcolabili al Paese. No, non è consolante affatto. Ed è anche un po’ vergognoso attraversare le lande desolate e depresse del centrodestra ricavandone la sensazione che coloro i quali dovrebbero reagire sono in realtà rassegnati. Per quanto? Per un anno, due anni, o soltanto fino alla verifica parlamentare che ci sarà tra pochi giorni?

Reagire. Non si può che pretenderlo. Se del caso nella maniera più forte, mettendo in discussione tutti, ma proprio tutti, e dichiarando esplicitamente la fine di un ciclo politico affinché se ne possa aprire un altro. Ma sul serio, liberandosi innanzitutto dei falsi prudenti e dei veri servi, portando avanti riforme necessarie contestualmente alla destrutturazione del partito purtroppo mai nato.

Ci si riuscirà? Berlusconi deve sapere che le micro-scissioni subite finora appariranno meno di leggeri solletichi a fronte dell’implosione di tutto il centrodestra se dopo il risultato referendario non sarà lui stesso a chiedere una riflessione, correlata a decisioni durissime al centro delle quali vi sia anche la sua persona, a dimostrazione che un leader è tale non quando riscuote facili applausi, ma quando assume su stesso la responsabilità di disfatte politiche dalle quali può rinascere uno spirito nuovo su cui costruire una stagione non più soltanto di affermazioni elettorali, ma di vittorie che valgano a cambiare il volto di un Paese.

È di una rivoluzione che l’Italia ha bisogno. Conservatrice, popolare e liberale. Prima che la facciano gli altri di segno contrario. E poco male se elemosineremo negli anni a venire energia da chi ce l’ha e continueremo ad assistere alla più costosa dispersione di un bene primario come l’acqua perché non sappiamo amministrarla. Mentre il potere giudiziario continuerà a surrogare quello politico. Un quadretto da brivido, indubbiamente.