Berlusconi torna in campo per perdersi
10 Dicembre 2012
La storia di Silvio Berlusconi, con il suo prossimo ritorno in scena, sembra percorrere in senso inverso il percorso marxiano: dalla farsa alla tragedia. E badate non c’è nulla di impietoso o feroce in questo giudizio.
La vicenda berlusconiana è stata segnata da un’accento farsesco, ludico, a tratti infantile e irresponsabile. Un’attitudine che Berlusconi ha pagato sonoramente nell’Italia accidiosa delle due chiese ancillari, quella comunista e quella democristiana. Ma che in quella stessa Italia ha portato ventate d’aria fresca e un certo disordinato risveglio di coscienze liberali e anarcoidi che non volevano morire in questa o quella sacrestia.
Quel Berlusconi farsesco e irrefrenabile, generoso fino all’ingenuità, che amava piacere e far ridere, fiero dei suoi errori al pari dei successi, animatore di cene eleganti tanto pazze quanto inoffensive, quel Berlusconi è finto.
Oggi il Cavaliere esce dalla farsa e entra nella dimensione del tragico. Sono gli anni a portarcelo ovviamente, ma anche un’ira schiumosa e risentita nei suoi confronti che serpeggia il paese e che sente di non meritare. Gli anni lo fanno più chiuso e sospettoso, gli scarnificano l’allegria, gli accorciano lo sguardo. Il malvolere che lo assedia, rabbuia la scena, lo induce alla vendetta o al sacrifico.
Come nella rappresentazione classica, l’eroe è tragico perchè non ha scelta, è mosso solo dalla necessità, dal destino o dal volere degli dei. Intorno non ha interlocutori, ma un coro che accompagna e scandisce i suoi passi verso la fine. Berlusconi, come ha intuito Giuliano Ferrara, vuole andare a sbattere contro un muro e non da solo: è "Dispuesto a morir matando".
Berlusconi non torna in campo per vincere, come ha detto sabato a Milanello, torna per perdere e per perdersi. Ha capito che un nobile e rispettato ritiro non gli sarebbe stato consentito, che lo avrebbero inseguito e sfigurato fino all’ultimo, gli avrebbero sequestato il becchime per i piccioni, messo microspie nelle panchine, aperto una procura a Malindi. I suoi avversari avebbero continuato a prosperare sulla memoria nera del suo ventennio, con il rischio magari che lui stesso avrebbe finito per crederci.
Allora meglio andare allo scontro finale. La campagna elettorale sarà la sua discesa agli inferi, sarà peggio che un muro conto il quale schiantarsi, sarà una pira suicida dove lui stesso appiccherà tutti i fuochi. Una consapevole purificazione tra le fiamme della sconfitta. Infondo lo dice anche Monti (Vincenzo) "Oltre il rogo non vive ira nemica". Poteva andare altrimenti? No, la tragedia è tutta qui.
Tratto da Huffington Post