Berlusconi-Veltroni, prove di dialogo sulla legge elettorale ma non sulle riforme
30 Novembre 2007
Uscire dal ’94 con lo spirito del ’94. Realizzando, come tredici anni fa, una svolta storica quanto repentina e dall’effetto spiazzante. Il capolavoro cui Silvio Berlusconi ha dato forma nelle ultime settimane ha trovato il suo coronamento sui due lati di un tavolo della Camera dei Deputati. Il Cavaliere da una parte, il segretario del Partito democratico dall’altra. L’antiberlusconismo è finito, e ad incarnarlo assieme ai più oltranzisti dei comunisti nostrani c’è rimasto solo qualche alleato non molto abile nella lettura e nell’interpretazione degli avvenimenti. E se anche la road map tracciata per quel che riguarda la legge elettorale dovesse incontrare qualche ostacolo, dallo scacco matto dell’ex premier non potrà che venire qualcosa di buono.
Il perché è presto detto. Oltre ad aggiudicarsi quel che solo un visionario avrebbe potuto pensare di sottrargli – ovvero il diritto, in quanto leader carismatico del partito di maggioranza relativa, a condurre il dialogo e la trattativa con la controparte -, Berlusconi ha individuato con intelligenza il vero punto di contatto sul quale l’interesse strategico suo e di walter Veltroni possono trovare una oggettiva convergenza: la realizzazione di una legge elettorale che cambi volto al bipolarismo italiano, e che favorisca la nascita dei “partiti del leader”. Percorso agevole e già abbondantemente incardinato, per quel che riguarda il centrodestra (che la svolta carismatica l’ha vissuta con naturalezza con la discesa in campo del Cav.), più complicato nel campo avverso, dove il sindaco di Roma dovrà vedersela con quanti – e non sono pochi – che di trasformazione del Pd in partito del leader non vogliono neanche sentir parlare, dal momento che “partito del leader” significherebbe più o meno “partito di Veltroni”.
Al di là delle apparenze, quindi, il sisma tellurico che sta scuotendo il centrodestra è ben poca cosa rispetto a quello che Veltroni dovrà affrontare in casa sua. La guerra intestina di potere nel Pd è già iniziata, anche se in maniera meno eclatante. E se il segretario deciderà con convinzione di procedere lungo la strada tracciata nell’incontro di Montecitorio, i fuochi d’artificio cui abbiamo assistito nel corso della campagna elettorale per le primarie saranno ben poca cosa. L’incognita, dunque, sta tutta nel centrosinistra. Se il percorso scaturito dalle prove di dialogo andrà a buon fine, la data di ieri sarà ricordata come una svolta storica per il nostro Paese. Qualora qualche impedimento dovesse mettersi di traverso, non è detto però che al Cav. non vada comunque bene: non bisogna dimenticare, infatti, che in termini di forza numerica il Pd è l’architrave portante della maggioranza di governo che tiene in vita l’esecutivo-fantasma di Romano Prodi. Se il tavolo della riforma elettorale dovesse implodere sul versante sinistro, non è da escludersi che possa derivarne una crisi di governo se non addirittura la fine della legislatura.
Veniamo ora ai termini dell’incontro di ieri tra i due leader. Chi maliziosamente si aspettava che dalle segrete stanze di Montecitorio nelle quali s’è consumato l’attesissimo incontro tra Silvio Berlusconi e Walter Veltroni trapelasse l’eco sospetta di un minuetto è rimasto a bocca asciutta. Già, perché se sulla legge elettorale il Cavaliere s’è mostrato ottimista, affermando che sul modello proposto dal segretario del Pd vi sono “punti di convergenza e altri di divergenza a mio avviso risolvibili”, sul futuro scenario politico non è arretrato di un solo passo: “Il primo dovere – ha detto Berlusconi – è uscire rapidamente dalla situazione di crisi in cui versa il Paese e tornare il prima possibile alle elezioni”.
Di grosse koalition per il momento non se ne parla. Tantomeno di fare riforme d’ampio respiro con una maggioranza “che non c’è più”, perché se da un lato è vero che il centrosinistra sta riproponendo a spron battuto un canovaccio di revisione costituzionale assai simile a quello approvato dalla Cdl nella scorsa legislatura e cancellato a colpi di referendum, è altrettanto vero che sui tempi di discussione delle riforme non c’è e non potrà esserci, almeno apertamente, un’intesa. Perché il leader dell’opposizione è indisponibile ad ogni forma di accanimento terapeutico nei confronti di un esecutivo al capolinea, ma d’altra parte il sindaco di Roma, nonostante le tensioni sempre più palpabili con Palazzo Chigi, difficilmente potrà accettare in maniera esplicita di pianificare una crisi in tempi brevi e il ritorno immediato alle urne, che comunque, ha sottolineato il Cav., spetterebbe al Capo dello Stato stabilire.
Da parte dell’ex premier, dunque, è stata ribadita senza indugio la necessità di tornare al voto al più presto, per il bene di tutti. Ma specificare ciò che è ovvio, e cioè che spetta al Quirinale decidere se e quando sciogliere le camere e convocare nuove elezioni, ha consentito a Veltroni, che subito dopo il Cavaliere ha illustrato il suo punto di vista sull’incontro, di confermare che i presupposti per un’intesa su una legge elettorale proporzionale con sbarramento che conduca ad un nuovo bipolarismo (“programmatico e non forzoso”, dice il leader del Pd) ci sono tutti, e che non aver posto da parte di Berlusconi la fine della legislatura come condizione pregiudiziale per continuare a dialogare sulle regole del gioco è la chiave per poter proseguire il confronto. Del resto, nonostante l’apertura ufficiale del confronto il gioco politico andrà avanti: Prodi cercherà di sopravvivere, Berlusconi lavorerà per farlo cadere, Veltroni forse resterà a guardare sostenendo formalmente il primo ma facendo in segreto il tifo per il secondo.
Del resto, quando Veltroni ha preso la parola per dire al Cav. che per fare le riforme basteranno dodici mesi, a più di qualcuno è parso di sentir suonare le campane a morto per l’esecutivo.