Bersani, Di Pietro, Vendola e la fine della missione moderata del Pd
19 Settembre 2011
E’ il feuilleton di fine estate, la conclusione di un intreccio politico che si scioglie dopo mille incertezze e svela all’opinione pubblica le scelte dal Partito Democratico per le future alleanze. Il tempo del grande sogno di modernizzazione della sinistra italiana è finito. Chiusa la stagione “autonomista” di Walter Veltroni e archiviata l’ambizione di costruire un partito europeo, riformista, moderato e credibile presso l’intero ceto medio, Pierluigi Bersani ritorna al passato e celebra la nascita del “Nuovo Ulivo” e il ritorno alle grandi alleanze multicolor, sul modello del 2006. Dentro tutti, dunque. E avanti con l’asse di ferro con Antonio Di Pietro e Nichi Vendola. Una prospettiva che chiude le porte a Pier Ferdinando Casini e appare destinata a segnare l’avvio di una nuova diaspora dei parlamentari e degli esponenti cattolici del Pd.
Certo è tutt’altro che escluso che il corteggiamento verso il leader dell’Udc sia davvero concluso. Ci saranno probabilmente nuovi tentativi e nuovi rilanci al tavolo del potere. Ma ormai il tenue filo che teneva in piedi l’ipotesi di un’alleanza organica con i cattolici si è spezzato con la scelta “ulivista” di Bersani e con il feroce scambio di insulti e di veleni tra Casini e Di Pietro, con quest’ultimo impegnato a bruciare gli ultimi ponti che potevano ancora collegare i centristi con il partito di Via del Nazareno. E adesso la consapevolezza dell’impossibilità di recuperare il rapporto con l’Udc si fa strada anche dentro il Pd. Tant’è che quando Bersani viene chiesto se sia ancora possibile un governo col Terzo Polo, Bersani risponde così. “Certo, si può governare in pochi, o stare più larghi. L’importante è mettersi d’accordo su una cosa: noi non passeremo da un governo all’altro ma dovremo ricostruire il paese. Se hai in testa non solo la tua logica di potere ma una preoccupazione per l’Italia e per questo fai una proposta larga e generosa, dopo di che si vede, ma a noi deve interessare cosa facciamo noi, non cosa fanno gli altri”. Una prosa tipicamente bersaniana che lascia, però, intravedere la difficoltà di prendere una posizione chiara e produrre qualcosa di diverso da un distillato di tatticismo verbale.
Nell’area del centrosinistra, il patto a tre di Palazzo D’Avalos trova difensori e critici. Il senatore Pd Vincenzo Vita, ritiene la linea tracciata a Vasto “quella giusta’”. Vita è convinto infatti che la “ricostruzione di una nuova stagione dell’Ulivo” passa per la ”formazione di un nocciolo duro, costituito dai tre partiti incontratisi alla festa dipietrista. Qualcun altro dissente, come il socialista Riccardo Nencini: “Un Ulivo fondato sull’asse privilegiato tra Pd, Di Pietro e Sel – afferma – ricalca un’esperienza che si è rivelata fallimentare proprio sul terreno programmatico e di governo”. E se Marco Follini fa già capire che difficilmente potrà prendere parte a un progetto di questo tipo, un pezzo da novanta come Sergio Chiamparino si affida a una pungente critica camminando sulla lama affilata dell’ironia. ”Se alla festa dell’Idv fosse nato il nuovo Ulivo sarebbe una buona notizia. Almeno per tutti coloro che non vedono l’ora che vi sia qualcuno di serio e affidabile a cui consegnare la guida di questo nostro paese” mentre “per stare alle immagini della recente storia politica nostrana, più che all’Ulivo , l’alleanza fra Pd Sel ed Idv a me sinceramente ricorda più la gioiosa macchina da guerra di occhettiana memoria con la quale si favorì indirettamente l’onda berlusconiana del ’94”. D’altra parte, continua l’ex sindaco di Torino, sono “troppi i temi strategici su cui non c’è accordo e su cui non possiamo rischiare di riscrivere un programma di 300 pagine! Basta pensare a un tema come la Tav o alla Fiat per fare due esempi importanti”. ‘”E’ un’alleanza – aggiunge – a forte rischio di condizionamento da parte di chi, anche dall’esterno, urla più forte, di chi cavalca l’ultima sparata populistica”.
Teoricamente a questo punto la road map annunciata dovrebbe essere programma, alleanze, primarie. Ma per una coalizione nascente che mostra di avere idee diverse praticamente su tutto, a partire da welfare, pensioni, privatizzazioni, le pedine sulla scacchiera potrebbero essere rimescolate in base alle convenienze. “Non si tratta di avere un governo alternativo – avverte Vannino Chiti -, ma di ricostruire i valori comuni e l’Italia. Non basta dire Nuovo Ulivo, ma bisogna specificare quale visione si ha sulla politica estera, quale tipo di Europa vogliamo, bisogna sapere come affrontare le riforme del Welfare e le questioni che riguardano il risanamento e lo sviluppo”. Un’impresa tutt’altro che facile per formazioni dal dna così diverso e dissonante.
E così se prima, sotto sotto, si sperava in una situazione politica che assicurasse uno scontato approdo della legislatura al termine naturale del 2013, ora che ci si avvia alla missione impossibile della costruzione dell’alleanza multicolor diversi dirigenti iniziano davvero a coltivare il sogno delle elezioni anticipate sull’onda dell’ennesima offensiva giudiziaria contro Silvio Berlusconi. In fondo un conto è costruire un cartello elettorale da mettere in campo come antidoto all’emergenza. Altra cosa è creare davvero una coalizione e un programma da mettere insieme con il lanternino senza restare imprigionati nel pantano delle ultime esperienze di governo del centrosinistra.