Bersani si consegna a Nichi ma rischia di dire addio al Nord e ai moderati

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Bersani si consegna a Nichi ma rischia di dire addio al Nord e ai moderati

13 Ottobre 2010

Un “filetto di speranza”, un ritorno al vecchio Pci, un tentativo di appeasement necessario alla sopravvivenza, un abboccamento in vista di un possibile governo tecnico o di scopo che dir si voglia.

Il giorno dopo le letture e le interpretazioni che vengono date del “patto di San Teodoro” (dal nome del ristorante romano in cui si è consumato l’incontro) o del “patto della ricciola” o “del babà” stipulato ieri tra Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola sono molteplici e varie. Su un punto, però, tutti concordano: il gelo tra i duellanti si è sciolto e ora i due antagonisti potranno provare a ragionare di politica, spinti dalla necessità, dall’instabilità del momento e da una possibile ed eventuale accelerazione della crisi a parlarsi. I contenuti dell’accordo possono essere riassunti in uno scambio basato sul realismo: se Vendola ottiene un primo (anche se non definitivo) via libera alle primarie di coalizione, accreditandosi così come aspirante leader, Bersani incassa la benedizione dell’avversario su un esecutivo mirato a cambiare la legge elettorale ma anche su un eventuale accordo con l’Udc.

“Quello che io chiamo Nuovo Ulivo deve rivolgersi all’Udc e vedere se ci sono le condizioni per un patto di governo. Le colonne d’Ercole a sinistra sono Vendola e Di Pietro ma non a qualunque prezzo” dice il segretario del Pd, impegnato a far passare il messaggio che non si vuole rifare l’Unione, nonostante il raggruppamento dei potenziali alleati non sembri certo omogeneo e selezionato sulla base delle naturali affinità e assomigli parecchio a una ardita sommatoria di soggetti.

“Con Bersani non c’è mai stata la guerra” risponde Vendola. “Abbiamo voluto abbattere insieme un muro di sospetti, polemiche e risentimenti che abitano un po’ in tutti i luoghi del centrosinistra”. Quanto all’ipotesi di un governo “di scopo” per la riforma della legge elettorale, per il governatore della Puglia “è necessario un governo che lavori solo su quest’obiettivo, un governo di scopo appunto. E per realizzarlo ci vorrebbero la volontà, la forza e il coraggio di trovare una nuova maggioranza in parlamento”. Nessun veto sul partito di Pier Ferdinando Casini. “In questo cantiere tutti sono i benvenuti” dice Vendola, anche se il partito centrista per ora mette le mani avanti.

E’ il presidente dell’Udc, Rocco Buttiglione, a incaricarsi di bocciare l’intesa Bersani-Vendola. “Faccio a Bersani i migliori auguri per quella che mi sembra un’operazione politica volta a ricostruire il partito comunista italiano. Grazie tante, noi andiamo da un’altra parte”. Una scelta sbagliata non solo perché “fa il verso al Pci” ma anche perché “punta a mettere insieme un’ammucchiata politica tipo Ulivo di Prodi che non solo non è in grado di governare, come è già accaduto, ma ora come ora nemmeno di vincere”. Secondo Buttiglione, Bersani non ha capito che “per battere Berlusconi occorre parlare agli elettori di centro che hanno votato il Cavaliere e ne sono rimasti delusi. Questi elettori non voterebbero mai una coalizione con Vendola e Di Pietro”. Insomma l’Udc va avanti sulla strada del terzo polo. “Credo che a Fini – afferma – uno spazio al centro interessi. Così come a Rutelli e Lombardo”. Anche se nessuno si sente di chiudere davvero e in maniera definitiva un possibile canale di dialogo con il Pd. Fermo restando che l’accordo con Vendola – e la sua eventuale partecipazione alle primarie di coalizione – certo non fa piacere a nessuno dei centristi.

Al di là delle schermaglie sulle future alleanze, quel che è certo è che Bersani, per una volta, ottiene il consenso del Partito Democratico nel suo complesso. Naturalmente il calore che viene dispensato nelle varie dichiarazioni ha temperature molto diverse. Tiepide ma non ostili le parole di Paolo Gentiloni, promotore con Walter Veltroni e Beppe Fioroni del Movimento democratico destinato a muovere i primi passi il 26 novembre. Distaccate quelle dei dalemiani che usano armi dialettiche spuntate e accenti comprensivi. Un buon risultato, dunque, per il segretario che, dopo aver incassato sabato scorso la tregua interna con Veltroni, sul partito che deve tornare a produrre proposte su temi concreti, ora inizia a lavorare sull’annoso problema delle alleanze per cercare di sminare un terreno ricco di trappole.

“Abbiamo ribadito il meccanismo delle primarie di coalizione – dice il segretario del Pd – perché è una cosa a cui teniamo molto, le abbiamo inventate noi, perciò saranno i cittadini a decidere chi meglio può sconfiggere Berlusconi”. “C’è un accordo per affidare al processo delle primarie la selezione degli sfidanti”, si compiace Vendola. Il quale, pur confermando che la volontà comune è di aprire un cantiere del centrosinistra con un patto di consultazione sul programma, nega di voler entrare nel Nuovo Ulivo e tanto meno pensa di confluire nel Pd.

La variabile Vendola, insomma, è stata ormai accettata e in qualche modo istituzionalizzata, blandita e riconosciuta dai vertici del Pd. A questo punto, però, si inizia a fare sul serio. E il partito di Via del Nazareno dovrà tenere conto delle altre variabili che ora si profilano all’orizzonte. Dovrà ad esempio ragionare sulla forza erosiva che potrebbe abbattersi sul progetto del Partito Democratico, attraverso l’emergere di una candidatura Vendola. Dovrà pesare il contraccolpo che questo potrebbe avere su possibili alleanze al centro e nel rapporto di fiducia con l’elettorato moderato. Dovrà mettere in conto che l’appeal del governatore si concentra al Sud ma non riesce a conquistare l’elettorato settentrionale.

Insomma, dovrà impegnarsi in una missione quasi impossibile che poi è quella di sempre, da sedici anni a questa parte: evitare che la convergenza elettorale si trasformi in un’ammucchiata.