Biagi e i conti col passato
15 Novembre 2007
di redazione
In questi giorni si sono accavallate fino a creare un vero e
proprio ingorgo le agiografie sul
giornalista e sull’uomo Enzo Biagi. Ma tra i tanti ritratti e i coccodrilli usciti manca
qualcosa. Il conto con il suo passato fascista e antisemita.
Diciamocela tutta: Enzo Biagi non ha fatto come Gunter
Grass che in vita ha confessato i propri errori e il proprio passato nazista. Anzi ha fatto di tutto
perché dei suoi errori di gioventù non si parlasse cercando di costruire attorno a sè un’epica resistenziale e antifascista che sarebbe sorta solo più tardi.
Per questo due storici di
sinistra come Gaspare e Roberto de Caro, già lo scorso 5 settembre in un saggio
pubblicato sul sito Carmilla on line,hanno cercato di rimettere a posto le date cruciali della vicenda e hanno elencato le cose di cui Biagi avrebbe
fatto bene a farsi perdonare in vita.
Come avere recensito in maniera a dir
poco entusiasta il film caposaldo della propaganda nazista “Sus l’ebreo”, sulla
rivista fascista “L’approdo”. L’«ebreo Süss – scriveva Biagi nel ’41 – è posto a indicare una mentalità, un sistema e
una morale: va oltre il limite del particolare, per assumere il valore di
simbolo, per esprimere le caratteristiche inconfutabili di una totalità. Poiché
l’opera è umana e razionale incontra l’approvazione: e raggiunge lo scopo:
molta gente apprende che cosa è l’ebraismo, e ne capisce i moventi della
battaglia che lo combatte» (4 ottobre 1941).
Inoltre, due anni prima delle deportazioni degli ebrei romani, lo stesso Biagi
si augurava, sempre sulla stessa rivista, che un evento del genere prima o poi
accadesse. Così invocò, sempre in quell’anno,
un’ «opera di purificazione indispensabile specialmente nelle maggiori città
dell’Italia settentrionale e centrale (Roma, dove ci sono ancora troppi ebrei,
compresa)» (23 agosto 1941).
L’ultimo libro di Biagi si intitolava “Quello che non si doveva dire”, dedicato ovviamente all’editto bulgaro. Sarebbe stato il titolo giusto per un’altra storia.