Bilancio di una vecchia guerra completamente nuova
31 Gennaio 2009
Ricordate la campagna di Israele contro Hezbollah in Libano nell’estate 2006, quando il movimento sciita libanese trasformò una sconfitta tattica e un pareggio strategico in una “divina vittoria”? Quella di Gaza è stata una storia completamente diversa. Gaza non è il Libano del sud. Israele sa tutto di Gaza, avendo occupato la Striscia per decenni. Tutte le importazioni ed esportazioni di Gaza passano attraverso Israele. Le comunicazioni televisive, radiofoniche e telefoniche, fisse e mobili, sono controllate da Israele. A Gaza perfino la moneta corrente è lo shekel israeliano.
L’intervento nella Striscia per far cessare il lancio dei razzi Qassam sulle città israeliane era stato pianificato da tempo e la direzione strategica del conflitto ha tenuto conto delle lezioni apprese in Libano. Date queste premesse, Hamas non aveva scampo ed è stata messa in ginocchio fin dall’inizio. E’ stata la prima volta che un attacco aereo di sorpresa ha ottenuto risultati così devastanti in così poco tempo. Addirittura molto meglio del 5 giugno 1967, quando l’aviazione israeliana distrusse al suolo gli aerei egiziani e siriani in poche ore: stavolta 88 aerei con la stella di David hanno attaccato simultaneamente 100 obiettivi predesignati neutralizzandoli tutti in 220 secondi, meno di 4 minuti. Anche nella guerra del 2006 contro Hezbollah, Israele disponeva di 150 obiettivi predisposti, ma per distruggerli aveva impiegato dieci giorni.
Ovviamente centinaia di esponenti politici e decine di mass media, soprattutto in Europa, si sono esibiti nel solito, penoso esercizio dello stracciarsi le vesti recriminando contro il cosiddetto “uso sproporzionato della forza” da parte di Israele. Una balla ipocrita: se chi è attaccato dovesse rispondere solo con mezzi proporzionati, non solo tutte le guerre e tutte le battaglie, ma anche tutti gli incontri di scacchi e tutte le partite di calcio finirebbero in parità e il mondo sarebbe di una noia micidiale.
Anche nel campo dell’intelligence sono stati evitati gli errori del 2006, quando i contatti con le persone chiave in Libano erano stati persi. Stavolta i contatti con chi di dovere a Gaza sono stati mantenuti costantemente. E il servizio di sicurezza Shin Bet è stato fin dall’inizio parte determinante del processo decisionale nelle fasi di pianificazione, esecuzione e valutazione delle operazioni.
E’ stata la guerra “del” telefono cellulare ma anche la guerra “al” telefono cellulare: tutti i telefonini dei soldati israeliani sono stati confiscati all’inizio delle operazioni. Nel 2006, invece, le conversazioni telefoniche mobili fra i soldati israeliani e le loro famiglie, intercettate da Hezbollah, avevano avvantaggiato la guerriglia. Il telefono cellulare è stato anche un’arma efficace nelle mani dei servizi di sicurezza israeliani. Gli agenti di Gerusalemme, fingendosi cittadini arabi preoccupati per le sorti dei cittadini della Striscia e parlando perfettamente con accento egiziano, siriano, saudita, algerino o giordano, contattavano centinaia di utenti di Gaza, Khan Yunis o Rafah intavolando accorate discussioni e ricavando utili informazioni sulla dislocazione e sui movimenti dei miliziani in zona. Ma il telefono cellulare è stato anche usato dai servizi di sicurezza israeliani per avvisare i residenti in certi palazzi di Gaza di abbandonare l’area entro 15 minuti. Un accorgimento ancor più immediato, capillare e convincente dei 400.000 volantini lanciati sugli obiettivi lungo la Striscia.
E’ stata anche la guerra dei civili. Hamas, consapevole del fatto che i piloti israeliani non colpiscono un edificio se questo è presidiato da civili, ha sistemato centinaia di gruppi di scudi umani sui tetti delle case che potevano essere bersagliate. La risposta è stata, paradossalmente, la “bomba che non esplode”, un ordigno lanciato su zone vuote dei tetti a mo’ di avvertimento, per convincere i civili ad evacuare lo stabile: la chiamano la tattica del “bussare sul tetto”. Inoltre, Hamas ha deliberatamente trasformato abitazioni, moschee e ospedali in polveriere, posti comando, depositi di armi e munizioni. La stessa leadership di Hamas durante le tre settimane di guerra ha trovato riparo in un bunker nei sotterranei della palazzina numero 2 dell’ospedale Shifa, il più grande di Gaza. Da una parte, dunque, la maggiore attenzione possibile ad evitare danni collaterali, dall’altra la ricerca deliberata dell’uccisione del maggior numero possibile di civili. Ha detto Olmert: “Abbiamo fatto di tutto per preservare le vite dei cittadini. Non so se esiste un altro esercito al mondo che sia più rispettoso delle vite dei civili”.
Passando alla tecnologia militare, un accorgimento applicato per la prima volta è stato il sistema MC4, impiegato dagli israeliani ad Ashkelon per ridurre i tempi di allarme da minacce di razzi in arrivo e per ottimizzare il tipo di aiuti di emergenza. Un sistema analogo, denominato “Colore rosso” è stato impiegato a Sderot con ottimi risultati: la previsione del punto d’impatto di un razzo Qassam viene fatta entro un secondo dalla partenza del razzo, dando il tempo alla popolazione minacciata di mettersi al riparo. Battesimo del fuoco anche per “Vedi e spara” (“Roah-Yorah” in ebraico), un sistema di mitragliatrici montate su una serie di fortini costruiti lungo la frontiera fra Israele e la Striscia: è un sistema di cecchinaggio robotico che riceve informazioni da una miriade di sensori e che viene gestito remotamente da giovani soldatesse. Nei primissimi giorni della campagna tre miliziani di Hamas che si avvicinavano minacciosamente al confine ne sono stati le prime vittime.
E molti altri sistemi tecnologici avanzati aerei, navali e terrestri sono stati impiegati per la prima volta dai soldati israeliani. Come i radar ad apertura sintetica, gli apparecchi fotografici aerei ad elevatissima risoluzione, i velivoli non pilotati “Shoval”, le nuove bombe e i nuovi missili a guida laser.
E’ cambiato tutto anche sul fronte mediatico. Nel 2006 in Libano le telecamere delle emittenti israeliane erano ovunque, seguivano le truppe all’assalto, riprendevano i colloqui fra comandanti e soldati. Tutto ciò contribuì ad aiutare il nemico e a destabilizzare il fronte interno. Stavolta cameramen e giornalisti sono stati tenuti accuratamente fuori dalla Striscia e i militari hanno ricevuto l’ordine di non parlare con i cronisti.
E molte cose sono cambiate anche dal punto di vista legale, un aspetto che negli ultimi tempi aveva dato luogo ad imbarazzanti episodi. L’ex premier israeliano Ariel Sharon, ad esempio, nel 2001 fu indagato da una corte belga per il suo ruolo nel massacro avvenuto nel 1982 nei campi profughi di Sabra e Chatila. Avi Dichter, attuale ministro della Sicurezza pubblica, fu costretto a rifiutare un invito a recarsi nel Regno Unito per timore di essere arrestato a causa dell’uccisione mirata di un capo di Hamas a Gaza avvenuta nel 2002. E nel 2005 una corte di Londra emise un mandato di arresto contro un generale israeliano in pensione che a suo tempo aveva ordinato lo spianamento coi bulldozer di un campo profughi a Gaza.
Per evitare il ripetersi, in futuro, di episodi come questi, i reparti israeliani impegnati a Gaza hanno messo in pratica la “validazione operativa”, ovvero la catalogazione e documentazione accurata dell’attacco contro ogni singolo obiettivo per raccogliere le prove, in caso di necessità, sull’uso improprio da parte di Hamas di abitazioni, luoghi di cura e di culto. Ogni compagnia operativa aveva al seguito un team legale e alcuni combattenti specificatamente addestrati a documentare tutto. Inoltre, il premier Olmert ha istituito un’apposita task force di giuristi allo scopo di difendere i soldati israeliani da eventuali future accuse di violazione dei diritti umani. “Lo Stato di Israele tutelerà pienamente i soldati che hanno agito per esso”, ha dichiarato il primo ministro. Non succede ovunque.
Saper fare tesoro degli insegnamenti tratti dalle esperienze operative è un’ottima garanzia per il futuro. E Israele ha saputo farlo.