Bin Laden morto, Al Qaeda in “franchising”
06 Maggio 2011
Grazie presidente Obama, dice oggi il mondo conservatore statunitense, che dell’attuale inquilino della Casa Bianca è il più fermo e ragionato avversario. Grazie di non aver ceduto alla tentazione di prendere le distanze, in politica estera, dalla “dottrina” esposta dall’Amministrazione retta da George W. Bush jr, ripete il mondo ora conservatore senza indietreggiare di un solo passo nella propria ferma e ragionata opposizione a Barack Hussein Obama. Grazie presidente Obama, spiega adesso il mondo conservatore statunitense, per non essersi sottratto all’impegno preso con il popolo americano: quello di esserne la guida e all’occorrenza il Capo supremo in battaglia. Grazie presidente Obama, aggiunge infine il mondo conservatore statunitense, per non essere stato né la riedizione di Jimmy Carter – cosa di per sé facile persino per Obama – né quella di Bill Clinton – cosa già più impegnativa anche per certi Repubblicani – ma di essere stato, dopo averci mostrato il certificato di nascita, autenticamente americano. Il giorno delle prossime elezioni presidenziali i conservatori lo diranno meno, molto meno, ma i fatti sono indelebili.
L’eliminazione, domenica 1° maggio, dello “sceicco del terrore” Osama bin Laden chiude infatti indiscutibilmente un’era. Apre però numerosi interrogativi.
Il terrorismo jihadista di stampo qaidista sarà in grado di sopravvivere al suo demiurgo? Per quanto? E in che forma? Se sì, non è che per caso bin Laden, in questo lungo, lento, sanguinoso decennio, sia progressivamente divenuto ingombrante per amici, alleati e adepti, e magari persino per se stesso? Non è, dunque, che per giochi diversi, di quale cabotaggio è tutto ancora da decifrare, il leader di al-Qa’ida sia per caso stato “(s)venduto” da qualcuno che egli riteneva più che amico – leggi per esempio i servizi segreti del Pakistan – o persino “sacrificato” su altari più impegnativi, magari persino lui “consenziente”? Il qaidismo, insomma, strumento supremo dell’aspirazione a instaurare il califfato mondiale nella versione più pura che mente salafita riesca a immaginare, è dunque riuscito a dotarsi di vita propria, surclassando in questo ogni e qualsiasi ideologia che mai abbia calpestato il suolo umano e quindi generando finalmente un’ideocrazia capace di funzionare in modo perfettamente autonomo oltre il venir meno dei suoi simboli, delle sue figure carismatiche e delle sue guide?
Se così fosse, ci troveremmo di fronte a un unicum. Il sogno di bin Laden, del resto, era proprio questo, lo si evince con chiarezza dal modo in cui ha sin dal principio organizzato e poi negli anni gestito la propria creatura. Come è stato raffinatamente ed efficacemente detto, il modello al-Qa’ida è quello del franchising, con la sua ricetta. Dato un imprenditore geniale, aggiungere una vision semplice e chiara, condire con una mission intuitiva che a posteriori sembra facile da realizzare ‒ “se-solo-ci-avessi-pensato-io” ‒ ma che prima nessuno aveva ipotizzato, avviare quindi “dal nulla” una impresa. Farcire poi con la creazione di un brand, guarnire con adeguata campagna pubblicitaria a effetto e servire il preparato con il piatto d’argento dell’ufficio acquisizioni: cioè la cooptazione di concorrenti, imitatori e piccoli griffe mediante concessione dell’uso del marchio prestigioso, la cessione di parte del know-how senza mai alienare però per intero il cuore strategico dell’azienda, assistere gestionalmente, economicamente e culturalmente gli start-up degli affiliati.
A questo punto, l’intrapresa è di sicuro e galoppante successo solo se progressivamente riesce a emanciparsi, persino dal fondatore. Se cammina bene e persino meglio da sé. Se vive di automatismi. Se sa delocalizzare e lucrare tramite oculato out-sourcing. Se cresce e si moltiplica. Insomma, visto l’argomento, se si propaga in metastasi. A quel punto, per cinico che possa apparire il dirlo, l’avere eliminato il creatore, bin Laden, diviene inutile. Soprattutto l’averlo eliminato tardi, prima cioè di avergli impedito d’imporsi stabilmente sul mercato.
Attenzione: il dire qui “tardi” non è l’avvio dell’istruttoria di un processo, è una constatazione. Amara, chi lo nega?, ma innegabile. Si poteva fare prima? E chi lo sa? Nessuno, specialmente coloro che anche solo osassero rinfacciare agli Stati Uniti passi falsi, lentezze, errori. Dopo il 1° maggio di Abbottabad, piangere sull’eventuale latte versato è da pusillanimi. Bin Laden è stato eliminato, e questo conta. Il passato è andato, quel che inquieta è il futuro.
Gli analisti concordano nel dire che, morto lo “sceicco del terrore”, il terrorismo ancora vive. Ma è come gli sopravviva a fare la differenza. Nessun sistema ideologico della storia ha mai scovato la pietra filosofale capace di trasformarne le aspirazioni – e le utopie – in moto perpetuo né la fonte della vita in grado di eternarne le meccaniche. Improbabile, dunque, che ci riesca il qaidismo. Ma se ci sbagliassimo? La storia non si ripete mai uguale a se stessa, nemmeno Giambattista Vico lo ha mai pensato.
L’improvvisa accelerazione degli accadimenti che hanno portato all’individuazione certa e così all’eliminazione di bin Laden interroga nel profondo. Perché adesso? Perché ora, soprattutto se è vero, come certamente è vero, che da anni l’occhio della CIA stava fisso su quel compound a un tiro di sputo dalla “Westpoint pakistana”? Come si fa, cioè, a immaginare che l’Inter-Services Intelligence (ISI), cioè la “CIA pakistana”, non ne sapesse nulla e che solo improvvisamente gli americani abbiano scoperto da sé l’inghippo?
La CIA è certamente migliore ma soprattutto meno sprovveduta di quanto normalmente la si dipinga: ma com’è comunque possibile immaginare che ciò che a essa è stato nascosto, sottratto, negato per dieci anni sia divenuto repentinamente disponibile? Il Pakistan intrattiene cortesi relazioni con il qaidismo da sempre; ne è il padre, il padrino e il tutore. Se invece di aiutarlo questa volta lo avesse ceduto, allora significherebbe che la fine di bin Laden è stata solo lo snodo di passaggio “necessario” a superare la crisi di crescita della sua multinazionale del terrore: non, dunque, chi sarà il suo successore o quanti epigoni potranno sorgere a raccoglierne il testimone, ma l’accorgerci che di lui non servono più né successori né epigoni dovrebbe in questa chiave atterrirci.
Oppure è vero proprio l’esatto contrario. Osama bin Laden è stato affidato al mare il 1° maggio, ma in realtà è morto il 12 settembre 2001, sconfitto inesorabilmente dalla dura legge del mercato. Una volta superato il doveroso rodaggio, la sua impresa lanciò il proprio prodotto ammiraglio l’Undici Settembre: un’opa ideologica sull’intero islam – e forse persino sull’intero mondo “antagonista”, quello che prova a mettere assieme i diavoli e le acque sante dei diversissimi nemici dell’Occidente nella logica di una nuova edizione della famosa “dottrina Carlos” – ma ne uscì battuto. Il mondo, islamico, non lo seguì. Qualcuno festeggiò, ma i fanatici li trovi sempre. I regimi laici e nazionalisti del mondo arabo non furono rovesciati dalle schiere degli islamisti, l’islam non s’infiammò mutandosi tutto sic et simpliciter in islamismo, e anzi, una volta giunta l’ora della “piazza”, quelli che bin Laden aveva sperato divenissero i nuovi shahid pronti a immolarsi per il suo califfato gli hanno voltato le spalle. Pacchetti azionari del mondo islamico, anche importanti, bin Laden nel frattempo se li è accaparrati, ma anche nei momenti di crescita è sempre rimasto inesorabilmente il socio di minoranza. La sua uscita definitiva di scena era dunque solo questione di tempo.
Se questo scenario è vero, il mondo avrà ora a che fare solo con i sussulti innescati dal sistema nervoso simpatico di un corpo decapitato, per lunghi e dolorosi che siano. Se invece è vero il primo, fantasioso quadro, sta per sorgere una terribile fenice, araba. A guardare però gli americani oggi, pare che siano davvero pronti ad affrontare l’uno o l’altro schema nello stesso maschio e affascinante modo in cui hanno vissuto quei dieci anni aperti dalla loro maggior tragedia nazionale e comunque chiusi il 1° maggio. Bibbia e Navy SEALs. Per questo appaiono più appropriate che mai le parole pronunciate nel cuore della notte dell’Undici Settembre dal presidente George W. Bush jr. Quelle del Salmo 23: «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me».
Marco Respinti è presidente del Columbia Institute e direttore del Centro Studi Russell Kirk