Biobanche private. Per fortuna che c’è l’Antitrust!
24 Ottobre 2011
Ieri il Corriere della Sera riportava, non senza una nota di malcelato disappunto, la notizia: “Mamme private dal cordone ombelicale: ingannate dalla pubblicità”. In sostanza, l’Autorità Antitrust ha accusato almeno sei società proprietarie di banche del sangue – Smart Bank, Cryosave Italia, Futura Stem Cells, Future Health, Sorgente e Crylogit Regener – di aver tratto in inganno, attraverso la pubblicità e Internet, i loro potenziali (e reali) clienti.
I punti contestati su cui le biobanche straniere avrebbero ordito l’inganno riguardano: la mancanza di chiarezza sui tempi di conservazione delle cellule cordonali congelate per uso privato, che vengono indicati in 20-25 anni di vitalità cellulare anziché i 15-16 che risultano dalla letteratura scientifica; i limiti dell’impiego terapeutico, non informando i clienti che il ministero della Salute deve autorizzare il rientro dei campioni conservati nelle banche straniere.
Ma più in generale l’Autorità si scaglia contro i messaggi ingannevoli che le società utilizzano per promuovere un’attività, quella appunto della conservazione autologa del sangue del cordone ombelicale, che in Italia è vietata per legge. Basta leggere qualche slogan per credere: «Proteggi la salute di tuo figlio, siamo la prima società di ricerca e crioconservazione nata in Italia» oppure «Regala un’assicurazione biologica a tuo figlio, siamo leader in Europa», o «Un gesto prezioso per la futura Salute del tuo bambino». Un battage pubblicitario che non indica mai qual è il reale utilizzo del sangue cordonale conservato né quali utilizzi ne sono stati fatti in tutti questi anni.
In realtà il sangue placentare, che è quello che si trova nel cordone ombelicale, è ricco di cellule staminali e può essere conservato per sé (all’estero) o donato (in Italia). Il dibattito di questi mesi in materia, pubblico e politico, puntava il dito contro la legge italiana, che, a detta dei progressisti di ogni età e sesso, sarebbe troppo restrittiva: rifiutando ai genitori la libera scelta di quale uso fare del sangue cordonale dei propri figli si nega di fatto il diritto alla cura di tutti i cittadini.
La base scientifica – oltre che solidaristica – che ha convinto l’attuale governo a non aprire alle biobanche private parla chiaro.
Basta leggere il Documento redatto dal Centro Nazionale Trapianti e dal Centro Nazionale Sangue da cui si evince che "la conservazione per uso personale intesa come “assicurazione biologica” per il neonato/famiglia non solo non risponde a principi di efficacia e appropriatezza, ma apre importanti problemi etici, di equità e di solidarietà, su cui si basa l’accesso al S.S.N".
O – per gli esterofili – un articolo del Comitato di Medicina materno-fetale dei Ginecologi Canadesi che scrive: “La donazione altruistica di sangue di cordone ombelicale per un uso pubblico e il conseguente trapianto allogenico deve essere incoraggiato”, ma “la conservazione per donazione autologa non è raccomandata date le limitate indicazioni e mancanza di evidenza scientifica per supportare detta pratica”.
Ovvero ancora le disposizioni della “American Association of Obstetrics and Gynecologists” che sostiene che al momento della donazione si deve “spiegare la remota possibilità che un’unità di sangue di cordone possa essere usata dal bambino proprietario del sangue o da un membro della famiglia (approssimativamente 1 caso su 2.700)".
O ancora le indicazioni che nel marzo 2008 la “Società Americana per il Trapianto di Sangue e Midollo Osseo” dava in merito: 1) La donazione pubblica di Sangue cordonale deve essere incoraggiata 2) La probabilità di usare il proprio sangue da cordone è molto piccola – difficile da quantificare ma probabilmente tra lo 0.04% (1:2500) e lo 0.0005% (1:200,000) nei primi 20 anni di vita – e perciò la conservazione di SdC per uso personale non è raccomandata 3) La raccolta per un membro della famiglia è raccomandata quando ci sia un fratello con una malattia che può essere trattata con successo con trapianto allogenico.
Ma ci voleva proprio l’Antitrust per gettare un’ombra sulle biobanche? Si doveva arrivare ad un pronunciamento ufficiale e terzo per cominciare a mettere in discussione le molte società che vendono, al caro prezzo di migliaia di euro, vane speranze ai neo genitori? Non sarebbero forse bastati l’intreccio inequivocabile di due elementi: dati scientifici e buon senso per capire che quella delle biobanche è solo una colossale e autorizzata truffa?
(c.v.)