Birmania, contro il regime inutili gli sforzi diplomatici

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Birmania, contro il regime inutili gli sforzi diplomatici

09 Novembre 2007

Ibrahim Gambari, inviato in Birmania per
conto delle Nazioni Unite, ha lasciato ieri il paese mettendo fine alla sua
seconda visita durata cinque giorni. Anche questa volta il diplomatico ha
incontrato membri della giunta al potere e la leader dell’opposizione, Aung San
Suu Kyi. Ma se le Nazioni Unite ostentano ottimismo, sono ormai in pochi a
credere ancora nella diplomazia delle parole.

Partiamo dai fatti. Le Nazioni Unite,
dopo la partenza di Gambari, hanno fatto il punto della situazione in un
comunicato ufficiale. Stando all’Onu, grazie al lavoro dell’inviato nigeriano e
ai suoi incontri con governo e opposizione, “non siamo al punto in cui
eravamo qualche settimana fa”. Progressi, dunque? Secondo la dichiarazione
ufficiale, sì: si sarebbe infatti avviato un processo che porterà “al
dialogo tra il governo e Aung San Suu Kyi come strumento chiave per la
riconciliazione nazionale”. Ma attenzione, “prima il dialogo incomincerà,
meglio sarà per la Birmania”: più che una certezza, dunque, un auspicio.

Il comunicato prosegue assicurando che
le Nazioni Unite continueranno a collaborare con la Birmania, con il
“completo supporto e la fiducia del governo della Birmania e della
comunità internazionale”: una frase assurda, se pensiamo alla totale indisponibilità
della giunta e all’ostruzionismo cinese in seno alle Nazioni Unite. A questo
proposito, Gambari è già stato invitato a visitare nuovamente il paese nelle
prossime settimane: dopo aver capito che le sue possibilità d’azione sono
pressoché nulle, per Than Shwe l’ospite diventa quasi gradito.

In cosa consiste il mandato di Gambari?
Portare la Birmania alla riconciliazione nazionale, alla liberazione di Aung
San Suu Kyi  e alla libertà d’espressione politica. Unico strumento per
raggiungere i suoi scopi, però, è il dialogo: ben poco di fronte ai bastoni
della dittatura.

Sul fronte governativo, Gambari ha
incontrato mercoledì il primo ministro Thein Sein – al quale ha consegnato una
lettera per il leader supremo, Than Shwe: questa volta, il dittatore non si è
neppure degnato di “salutare” personalmente l’ospite. Nel corso
dell’incontro, i due hanno discusso dei possibili sviluppi nella collaborazione
tra Stato e Nazioni Unite: a questo proposito, Gambari ha ribadito come
“un ritorno allo status quo sia inaccettabile”, per poi consigliare
alcuni passi necessari per andare incontro alle aspettative internazionali
(Cina esclusa…). Cosa chiede il mondo alla Birmania? Di avviare un dialogo con
l’opposizione, d’intraprendere misure concrete a favore dei diritti umani, di
migliorare le condizioni socioeconomiche della popolazione. A questo proposito,
Gambari si è poi spinto fino a suggerire la costituzione di una commissione
governativa finalizzata all’alleviamento della povertà.

E una risposta secca alla sua proposta –
quella della commissione – l’ha data il ministro dell’Informazione, Kyaw San,
secondo quanto riportato dal quotidiano “New Light of Myanmar”.
Secondo il ministro, “invece di rimproverare e suggerire la formazione di
una commissione per alleviare la povertà del paese, dovrebbe (Gambari, ndr)
giocare un ruolo chiave nel convincere gli altri ad abbandonare le sanzioni: in
questo caso, la commissione non sarebbe necessaria”. Una vera e propria
presa per i fondelli, con tanto d’ironico invito ad unirsi a coloro che
sostengono il regime militare.

Dopo le batoste governative, Gambari ha
poi dialogato ieri con il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi. Ancora una
volta, i contenuti sono top secret: a Suu Kyi è vietata qualsiasi esternazione
pubblica, e pertanto sarà forse l’inviato delle Nazioni Unite a rilasciare una
dichiarazione sull’incontro al termine della missione. Un minimo passo avanti,
forse solo di facciata, si è comunque registrato: oggi la leader
dell’opposizione potrà incontrare qualche esponente del suo partito (Lnd).
Secondo la televisione di stato birmana, che ha dato l’annuncio, all’incontro
prenderà parte anche un alto funzionario della giunta militare, incaricato di
tenere i rapporti con l’opposizione. Un contentino dovuto all’invito al dialogo
lanciato dall’Onu.

Ibrahim Gambari ce la mette davvero
tutta, ma la via diplomatica molto difficilmente porterà a qualcosa. E anche la
nomina di un incaricato europeo per la Birmania – Piero Fassino – non porterà
certo ad alcuno sviluppo finché il protagonista di maggior peso nella partita,
la Cina, non si schiererà di fianco ai paesi occidentali. E tutto lascia
pensare che ciò non avverrà mai. Il pessimismo per l’attuale situazione emerge
ormai anche a livello ufficiale: secondo un diplomatico di base a Rangoon,
interpellato dalla Reuters, “non c’è alcun dubbio che questo regime non ha
la minima intenzione di cooperare con Gambari o di dare il via ad un processo
di genuino dialogo politico”. Difficile dargli torto: non si tratta più di
analisi politiche, quanto di evidenza.

E poche sono le speranze, ormai, anche
sul fronte dei monaci. Se la presenza di Gambari sul territorio evita
repressioni violente o ulteriori arresti, è pur vero che i religiosi buddisti
sembrano essersi arresi all’evidenza: senza un forte supporto internazionale,
scendere in piazza è pressoché inutile. Ma se l’arancione è sempre meno
presente sulle strade, qualcosa sta forse montando tra le fila della società
civile: l’agenzia di stampa Mizzima, infatti, dà notizia di alcuni pamphlet
anti-giunta distribuiti a Rangoon da gruppi di attivisti.

I nuovi protestanti si fanno chiamare
“Generation Wave”, e puntano a raccogliere il testimone della celebre
Generazione 88 – che ha visto molti attivisti arrestati nel corso della recente
repressione governativa. Attraverso manifesti e poster, gli attivisti
vorrebbero riaccendere lo spirito di settembre: i messaggi sinora lanciati sono
“CNG” (Change New Government) e “FFF” (Freedom From Fear).
Kyaw Kyaw, membro della “Generation Wave”, ha rilasciato una vera e
propria dichiarazione d’intenti – o meglio, di speranza –:  obiettivo del
gruppo è distribuire il poema “Bah Kah Tah” (scritto da uno dei
leader studenteschi della Generazione 88) ai più giovani, così che capiscano
“di avere un compito da portare avanti”. Il compito della lotta per
un futuro democratico, che da vent’anni a questa parte accompagna la vita
quotidiana della popolazione birmana. Anche quando la comunità occidentale
guardava da un’altra parte.