Blasfemia, il cavallo di troia della Sharia in Occidente
11 Marzo 2017
Più di dieci anni fa – il 30 settembre 2005 – il direttore delle pagine culturali del quotidiano danese Jyllands-Posten pubblicava una serie di dodici vignette raffiguranti il profeta dell’islam. Qualcuna delle caricature non raffigurava nemmeno Maometto, ma quella che lo ritraeva con una bomba al posto del turbante, divenne famosa. Gli imam danesi aggiunsero, poi, alcune vignette più offensive e le fecero girare in tutto il Medio Oriente, suscitando sentimenti di rabbia e odio contro la Danimarca. L’istigazione funzionò alla grande. Saccheggi, incendi, omicidi. Il mondo intero sembrava paralizzato da quelle vignette.
Addirittura in Nigeria, tra il 20 e il 25 febbraio 2006, le reazioni alle vignette diedero vita ad un periodo di scontri che provocò migliaia di sfollati e un centinaio di morti. Andava data una lezione al mondo intero perché fosse finalmente chiaro a tutti che “ogni raffigurazione del profeta è proibita e considerata blasfema”. Theo Van Gogh, l’artista olandese, era già stato sgozzato nei pressi del centro di Amsterdam da un marocchino dando seguito alla fatwa emessa dopo che era apparso il suo celebre cortometraggio “Submission”, sottomissione.
Ma il caso danese portò ad una crisi dell’editoria europea, terrorizzata dal rischio di offendere l’islam. E conosciamo tutti come ha pagato la redazione parigina del mensile Charlie Hebdo la sua ostinazione. Eppure la polizia dell’antiblasfemia islamica è instancabile: tagliare le lingue e la mortificazione del dissenso sono le armi di censura preferite. In maniera subdola, e raramente esplicita, il reato di blasfemia sta intaccando il tessuto giuridico e sociale d’Occidente. Per restare all’Olanda, si pensi al processo per incitamento dall’odio contro Geert Wilders, il leader della destra antijihadista, oppure, passando in Gran Bretagna, al caso di Louis Smith, il ginnasta olimpionico che lo scorso anno è stato sospeso per due mesi, perché, a casa sua, si era lasciato riprendere da un amico mentre imitava la preghiera islamica.
Già nel febbraio 2012 attivisti musulmani, con collegamenti con la Fratellanza Musulmana, chiedevano al governo britannico di porre delle restrizioni sul modo con cui i media britannici parlavano di argomenti come islam e musulmani. E più o meno contemporaneamente un gruppo di pressione islamica chiamato “Engage” lanciava una mostra e una campagna della durata di un mese – “Islamophobia Awareness Month” – che denunciava l’evidente e allarmante diffusione dell’islamofobia in Gran Bretagna. La mostra si tenne nel Parlamento britannico, allo scopo di operare pressioni e ottenere maggiori “protezioni” per i musulmani. Tale il successo che la manifestazione è diventata consuetudine, e si tiene ogni novembre.
In Irlanda, una nuova legge sulla blasfemia è entrata in vigore nel gennaio 2010, il “Defamation Act”. Si tratta del reato di diffamazione blasfema a mezzo stampa, punibile con una multa fino a 25.000 euro. Legge che è stata vista dai Paesi islamici come la “giustificazione” perfetta per perseguitare chi critica l’islam. Il Pakistan ha addirittura citato il caso irlandese alle Nazioni Unite per sostenere la propria legge sulla blasfemia islamica. E se nel 2010 un membro del Parlamento danese, Jesper Langballe, veniva riconosciuto colpevole di “discorsi d’odio” per aver detto che nelle famiglie musulmane avvengono delitti d’onore e abusi sessuali, nel 2012 in Austria veniva inaugurato il ‘King Abdullah International Center for Inter-Religious and Inter-Cultural Dialogue (KAICIID)’, per “promuovere il dialogo inter-religioso”. Ma il Segretario generale dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, nel discorso d’inaugurazione rendeva esplicito il vero fine ultimo dell’organizzazione, “fare pressione sui paesi occidentali per rendere un crimine internazionale la critica all’Islam o a Maometto”. In nome, ovviamente, della ‘tolleranza religiosa’. Ci mancherebbe.
La pressione della “Organizzazione della Cooperazione islamica” – che rappresenta 56 stati islamici – è stata riportata nel 2015 anche dalla BBC. E’ dello scorso mese, invece, la notizia che in Danimarca un uomo verrà processato per aver bruciato il suo Corano nel giardino di casa, e poi postato il video in un gruppo pubblico di Facebook, con la frase “Sì alla libertà, No all’islam”. Nel 1997 si era verificato un episodio simile: il servizio pubblico della radio danese finanziò un artista che in diretta bruciò una Bibbia, e il gesto venne trasmesso anche sulla televisione nazionale. Ma nessuno venne indagato o accusato, nonostante le lamentele. Ancora in Gran Bretagna, nel 2011, e tra il 2010 e il 2014 ci sono stati arresti per chi ha osato bruciare il Corano.
In Norvegia, un sondaggio, condotto nel mese di gennaio, ha mostrato che il 41% dei norvegesi musulmani crede che criticare l’islam è una cosa che va perseguita e punita, e solo il 7% ritiene che la pena per blasfemia non dovrebbe prevedere la pena di morte. Ad ottobre scorso, poi, il Parlamento nazionale del Canada all’unanimità ha approvato una mozione anti-islamofobia in seguito ad una petizione promossa dai Fratelli Musulmani che operano in Nord America con la collaborazione di Samer Majzoub, presidente del Forum musulmano canadese. Una mozione che, però, non chiariva cosa andava condannato. La critica all’islam?; più in generale ai musulmani? oppure l’impossibilità di discutere se l’Isis sia una chiara espressione dell’islam o meno? Nessuno sapeva, e nessuno aveva ritenuto opportuno fare chiarezza.
In Ontario, il 23 febbraio, una mozione simile è stata approvata, all’unanimità, dal parlamento provinciale: come in quella Canadese, si chiede che ogni forma di islamofobia venga condannata. E anche se si tratta di mozioni non giuridicamente vincolanti, gli islamici chiedono che vengano presto “convertite” in leggi a tutti gli effetti. Abbiamo tracciato un profilo dell’Occidente, anche piuttosto approssimativo, da quando l’islam, agli inizi degli anni 2000 ha iniziato ad alzare la voce, e le mani, con la scusa del reato di blasfemia. Legge che tanto desiderano che venga approvata in tutto il mondo perché sarebbe un facile cavallo di Troia capace di rendere norma, e quindi normale, le mutilazioni genitali femminili, la violenza contro le donne, la lapidazione, la fustigazione, i delitti d’onore, la poligamia e le spose bambine. Insomma, la sharia. Cosa fare se sarà vietato criticare?