Bloccare il calcio: per me sì

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Bloccare il calcio: per me sì

30 Maggio 2012

di E.F.

Che palle la piccola industria sussidiata del calcio! Ma soprattutto che palle i tifosi! Loro che si sbrodolano addosso ogni giorno dell’anno sulle radio locali delle tifoserie e che parlano di semi-analfabeti e delle loro piccole prodezze fisiche – i giocatori ultra pagati a cui a quanto pare i soldi non bastano mai – come se stessero parlando di Isacco Newton e delle sue prodezze (quelle sì) scientifiche o di qualche Santo che ha curato un lebbroso.

Io che per il governo Mario Monti non ho mai avuto simpatie, dico ‘Viva la proposta Monti’ per la sospensione del calcio per “2 o 3 anni”. Finalmente qualcuno che con pacata e dura sobrietà, dice ufficialmente che il calcio e le sue ritualità, piacciono ormai solo a una insignificante minoranza. E chissenefrega se il mio sfidante non sa cosa fare del proprio tempo libero –  “E poi cosa faccio la Domenica?”, mi ha confessato in redazione in tempi non sospetti.  

Beh, cari tifosi, andate alla vera messa, quella in Chiesa, a pregare perché la terra non v’è ancora crollata da sotto i piedi, perché tutto sommato avete ancora da vivere, perché il sole nasce e muore ogni giorno. Pregate la Domenica il nostro magnifico Dio cristiano. Celebratelo, invece di andare a urlare, a bere, a mangiare pesante, a farvi di bombe in curva (e vabbene si generalizza, ma è pur sempre vero che questo è la curva in molti casi).

Lasciamo stare per un momento i costi dell’industria calcio – 2,9 mld di euro – e il volume di produzione aggregato del calcio in generale – 2,5 mld di euro -, e pure i debiti della società calcistiche, quelli della serie A ammontano a 648 mln di euro. Sorvoliamo pure sui soliti sussidi che diamo alle società sportive quando vanno a gambe per aria e partono allora tempestive le telefonatine dei politici locali e nazionali alle banche ‘amiche’ alle quali si chiede di rimetterci un po’ di soldi, “Dai, che questo nuovo presidente è bravo!”.

Ma perché i contribuenti dovrebbero continuare a metterci i soldi nel calcio? Cos’è il tifo (oltre a essere un malattia) se non l’ennesimo bacino di sussidiati a cui una politica che ha tassato il tassabile – pure l’ombra, chiedete ai benzinai – dà qualcosa in cui credere, visto che non tutti sono pronti a idolatrare lo Stato, dopo che la religione, quella vera, è stata bandita dalla pubblica piazza, chiusa in deserte e deliziose Chiese che sanno d’incenso?

Dateci una Domenica con stadi chiusi e chiese piene. E poi, aspettiamo quattro anni, e speriamo che le famiglie tornino allo stadio e che le curve delle bestie urlanti non esistano più. Auguriamoci di rivedere quei papà (e quelle mamme, i tempi sono maturi) che senza bisogno di passare per telecamere, controlli rettali e tra gli zebedei o chissà cos’altro, potranno portare i propri figli a vedere un semplice spettacolo sportivo, niente di più. Così, tanto per passare del tempo insieme, all’aperto e non pensare al ‘tragico dolore d’essere uomini’ come diceva PPP, uno che allo stadio non ce l’avremmo visto mai.

Al quel punto, forse, le probabilità di rivedere in campo giocatori alla Rivera torneranno a crescere, quelli come lui che di rado cambiavano maglia, che erano semplici, che sapevano d’essere delle capre e non facevano gesti di irriverente baldanza e tenevano la cresta bassa (non come quel minus pubblico che sembra essere Mario Balotelli, uno che è andrà pure agli Europei con la Nazionale non solo perché due calci li sa dare ma anche perché nero, la storia di successo da vendere dell’africano col passaporto italiano, si dica!).

Che c’è d’interessante in questo calcio delle scommesse, dei sussidi, dei morti, dei litigi, degli insulti razzisti, delle cupole guidate da ex-capi stazione di Civitavecchia che decidono in qualche ristorante toscano come deve finire un campionato? Che ce ne facciamo di ‘sta roba? Che se ne fa l’Italia?