Bocchino fa campagna elettorale per Fini e spara sul Pdl e su Schifani

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Bocchino fa campagna elettorale per Fini e spara sul Pdl e su Schifani

25 Giugno 2010

 L’Italo Bocchino andato in scena oggi da Palermo riporta con la mente al titolo dello storico varietà della Rai “Senza Rete” (correva l’anno 1968). Anzi, si potrebbe dire “senza freni”. D’accordo che doveva sbarcare sull’isola e lanciare il “brand” della corrente finiana e della sua Generazione Italia, quindi puntare sull’effetto choc per far presa sui media e assicurarsi bei titoloni sui giornali, ma così come è andato in onda, pare davvero aver superato la misura.

L’Italo Bocchino furioso ne ha avute per tutti: dai “berluschini” considerati il vero problema di Berlusconi, alla “correntina di Schifani” in Sicilia che contrappone alla “corrente di Miccichè di cui facciamo parte anche noi” contribuendo così a soffiare sul fuoco di una diatriba che va avanti da tempo e che ha spaccato a metà il Pdl regionale. E  checché ne dica il Cav. (al quale è indirizzato il messaggio), proprio le correnti dentro ai partiti seppure riviste e corrette in chiave moderna, sono “indispensabili per far sì che siano democratici”.

Dunque usando la stessa logica del deputato campano, oggi nel Pdl c’è un tasso basso di democraticità. E come lo si evince? Facile, dal numero di correnti che in esso si formano. Non solo: Bocchino senza freni  rispolvera il solito refrain della legalità e indirettamente guarda a Palazzo Grazioli, (“il Pdl che noi vogliamo è un partito nazionale e della legalità”). Segno, evidentemente, che oggi il concetto di legalità non alberga dalle parti di via dell’Umiltà, sempre seguendo il “verbo” del braccio destro del presidente della Camera.  E ancora: l’affondo anti-Lega agli “interessi” della quale oggi il partito unico dei moderati  “è subordinato”. Con la chiosa: “Il 90 per cento degli elettori del Pdl la pensa come noi”.

Segue la ricetta di come per Bocchino e i suoi, dovrebbe essere (e dunque non è) il Popolo della Libertà: “forte, plurale, democratico e aperto”. Insomma tutt’altra storia dal Pdl di oggi – sentenzia il pm Bocchino – che invece è “singolare, debole perché non ha un solo dirigente eletto, non ha circoli e non ha iscritti, e chiuso perché non ha una forte dialettica interna ed ogni confronto sembra essere una questione di lesa maestà”.

Il “fustigatore” Bocchino dispensa poi la sua dose giornaliera di critiche anche sul neo-ministro Aldo Brancher che ieri attraverso i suoi legali ha deciso di appellarsi al legittimo impedimento nello stralcio del processo per la tentata scalata di Bpi ad Antonveneta che lo vede tra gli imputati, trovando “inelegante che un ministro appena nominato ed ancora senza delega cominci il suo lavoro invocando il legittimo impedimento, che era stato votato per impedire le aggressioni della magistratura ai ministri e non per nominare ministri sotto processo”.  

Parole non certo felpate, come quelle al fiele sulla “correntina” del presidente del Senato che scatenano un vespaio di polemiche e reazioni. Come quella del senatore Carlo Vizzini che dà ragione a Bocchino quando dice che in Sicilia la partita del Pdl va giocata scegliendo il consenso,  ma gli ricorda che “nessuno lo aveva informato del fatto che appena un anno fa, fu proprio Miccichè al quale Bocchino e i suoi uomini fanno riferimento, a dichiarare pubblicamente che il risultato delle elezioni europee in Sicilia avrebbe deciso chi doveva guidare il partito”. E il responso delle urne fu quello che fece eleggere due esponenti della componente “lealista” (Schifani e Alfano, appunto), non i candidati in quota Fini.

Tra i berlusconiani di stretta osservanza, il presidente dei deputati Fabrizio Cicchitto avverte che  è indispensabile “aprire il tesseramento del Pdl a tutti i livelli, comunali e provinciali perché in caso diverso, come dimostrano anche alcune dichiarazioni, lo spazio lasciato così vuoto sarà riempito dalle più varie correnti e associazioni”. Gaetano Quagliariello bolla come “sconcertante il livello al quale si sta trascinando la polemica interna al partito: credevamo che in qualche trasmissione televisiva si fosse toccato il fondo e invece a quanto pare non bisogna mai illudersi che da certi squallori non si possa che risalire”.

Il punto non è discutere di correnti o di spifferi, “ma di chiedersi se si abbia un minimo di educazione istituzionale e di comprensione dei ruoli, dei modi e delle parole con cui si esprimono le proprie posizioni”, spiega il vicepresidente vicario dei senatori. E in assenza di “questi presupposti elementari, i danni che ne derivano possono essere esiziali non solo per il partito ma per la stessa vita democratica”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il deputato Osvaldo Napoli per il quale “qualcuno pensa, a torto, di trarre vantaggi personali dalla trasformazione del PdL in un mosaico o in un moderno puzzle fatto di correnti e orticelli. Finora vedo in giro molti venditori di almanacchi per l’anno nuovo, ma nessun ortolano che si metta a faticare con la zappa”. E se si va avanti di questo passo, il rischio è “la dissoluzione diventa per il Pdl una prospettiva ineluttabile. A questo punto, sarà bene accelerare i tempi per il tesseramento e dunque per i congressi locali prima di quello nazionale. Al leader Berlusconi toccherà, come è giusto, l’ultima parola ma questa volta non saranno ininfluenti quelle pronunciate prima dagli altri”.

E se il coordinatore nazionale del partito Denis Verdini sostiene che va bene il dissenso interno ma diventa “inaccettabile che in nome di un dibattito interno, di polemiche relative a questioni locali, per dare un pò di visibilità a chi nel Pdl rappresenta una fazione assai esigua, si offenda in modo così rozzo il presidente Schifani”, il senatore Francesco Casoli non usa mezzi termini affermando che Bocchino “ha passato il segno” dal momento che “a forza di occuparsi di correnti rischia di prendersi un raffreddore.

Farebbe bene ogni tanto a chiudere la finestra e anche la bocca. Specie quando la apre per insultare in maniera puerile e senza motivo la seconda carica dello Stato”, anche perché “nessuno dal Senato si è mai sognato di usare espressioni così  volgari e soprattutto false nei confronti del presidente Fini”.

E c’è perfino chi, come la senatrice Vicari, suggerisce all’ex numero due del gruppo alla Camera in preda a “incontinenza verbale accentuata dalla calura estiva di “dimettersi” se questo Pdl non gli piace. E ancora chi come il sottosegretario Francesco Giro non gradisce l’appellativo bocchiniano di “berluschini” e gli risponde per le rime definendolo un “gianfranchino”, dal momento che “si candida ad essere un vice-capo corrente dei finiani”. Scintille all’ennesima potenza. 

E a confermare il livello di fibrillazione tra berluscones e seguaci dell’inquilino di Montecitorio, arriva la sottolineatura su tutt’altro tema anche se il timbro dei finiani c’è lo stesso, è Quagliairello sulla decisione di Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera che sta esaminando il ddl intercettazioni, di aprire un giro di audizioni sul testo (a cominciare da magistrati e giornalisti). Una mossa – osservano dal Pdl – “che sembra studiata a puntino per ritardare quanto più possibile i tempi dell’approvazione del provvedimento già licenziato dal Senato.

Nel suo tour palermitano a caccia di adesioni correntizie, Bocchino annuncia che entro novembre, in tempo per la convention nazionale a Perugia,  Generazione Italia consegnerà a  Fini “le chiavi di questo nostro grande progetto politico”.

Ci permettiamo umilmente di osservare che se  il progetto che il presidente della Camera riceverà dal suo braccio destro è affidato al Bocchino che si è esibito da Palermo in una delle sue migliori performance anti-Pdl, c’è da stare freschi.  Ironia della sorte: non sono passate quarantottore da quando il Cav. ha tuonato contro le correnti che il pasdaran finiano ha battuto un colpo. Rispondendo  l’esatto contrario. Insomma, altro che partito-caserma, qui il dato è che tutti parlano eccome. Talvolta anche troppo e  a vanvera.