Bocchino: “Per il futuro dico sì al coordinatore unico e no alla logica del 70 a 30”

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Bocchino: “Per il futuro dico sì al coordinatore unico e no alla logica del 70 a 30”

05 Agosto 2009

Sì alla formula del triumvirato che ha funzionato e sta funzionando nella fase di costruzione del Pdl, anche se in futuro – ma servono anni – la strada è quella del coordinamento unico. No alla logica del 70-30 tra Fi e An che ormai ha fatto il suo tempo: necessaria all’inizio per gestire la transizione, nella “fase due” va superata. In mezzo ai due concetti che il vicepresidente vicario dei deputati del Pdl Italo Bocchino argomenta, c’è l’analisi sull’azione di governo, il ruolo dei gruppi parlamentari e un passaggio non secondario sulle regionali del prossimo anno in Campania.

Onorevole Bocchino, partiamo dal Pdl. Cosa c’è da fare nella cosiddetta “fase due”?

E’ stato fatto molto. Stiamo parlando di una forza politica nata da poco che si conferma al suo esordio elettorale il più grande partito italiano che sta omogeneizzando le classi dirigenti sul territorio con risultati positivi. La prima valutazione la farei sugli aspetti positivi.

Allora dica cosa manca.

Manca il tempo, nel senso che ci vuole tempo per costruire una grande forza politica partendo da strutture organizzative diverse e classi dirigenti diverse. Non è un atto burocratico, notarile, questo percorso ha bisogno dei tempi necessari e normali di ogni processo. Quando le cose si fanno tutte e subito significa che è una fusione a freddo come quella del Pd. Noi abbiamo bisogno del tempo necessario e i risultati positivi, il fatto che alle amministrative abbiamo ottenuto una vittoria senza precedenti ribaltando situazioni impensabili, dimostra che il partito c’è ed è pronto a completare la fase della sua costruzione.

A proposito di “fase due” dopo l’organigramma di vertice adesso c’è l’esigenza rilanciata da molti dirigenti locali di radicare il partito sul territorio. E non mancano critiche su un iter che procede a rilento.

Il radicamento territoriale c’è già dal punto di vista elettorale con migliaia e migliaia di eletti. Vanno create le strutture locali, è chiaro che il processo sul territorio è più complesso che a livello centrale. Stiamo parlando di ottomila comuni, decine di migliaia di consiglieri comunali, ma al di là di questo, penso che questa fase abbia bisogno del tempo che serve pure per limare qualche spigolo; del resto in questi quindici anni tra An e Fi c’è stata una leale e corretta competizione. Adesso si tratta di completare gli organismi territoriali e selezionare la classe dirigente ma sono convinto che per fine anno tutto sarà a regime. A febbraio si presentano le liste per le regionali, ma saremo pronti prima.

Secondo lei nella “fase due” del partito la logica del 70 a 30 ha ancora un senso?

Era indispensabile per far partire il processo di costruzione del Pdl. Se non ci fosse stata la logica delle quote iniziali il partito più piccolo non avrebbe avuto interesse ad entrare perché avrebbe rischiato di essere annesso o fagocitato. Ora bisogna uscire dalla logica delle quote, anche perché un atto iniziale se diventa permanente sclerotizza il partito. Invece occorre rendere dinamico il Pdl: la quota deve essere un punto di inizio e una soglia di garanzia; poi bisogna contaminare le classe dirigenti e il Pdl deve porsi come obiettivo quella della meritocrazia.

Sì ma finora si è proceduto per nomine.

In un partito come il nostro si imporrà la meritocrazia perché in un contenitore così ampio o prevale la logica degli apparati e delle correnti e né Berlusconi né Fini sono sensibili a questa logica o prevale la meritocrazia e un forte rinnovamento generazionale. Sono convinto che nei prossimi anni ci sarà un percorso in questo senso.

Cicchitto ha definito il Pdl, seppure non polemicamente, un partito “decerebrato”. Lei cosa pensa?

Condivido al cento per cento l’analisi di Cicchitto che non ha criticato il partito ma posto un problema reale in termini costruttivi.

Lei cosa propone per risolverlo?

Riunire gli organismi di partito che già ci sono e in quella sede elaborare la proposta politica sui grandi temi. Ad esempio c’è la questione delle gabbie salariali che a mio avviso non sono proponibili: bene, si riunisce l’ufficio di presidenza e se ne discute. Insomma il problema si supera facendo funzionare gli organismi preposti

La formula dei tre triumviri la convince?

E’ una formula che ha funzionato nel senso che ha permesso il processo di integrazione e sta funzionando perché comunque riesce a garantire una camera di compensazione senza la quale si correrebbe il rischio di forti tensioni a livello centrale e periferico. Certo, come tutte le formule è perfettibile, migliorabile ma io penso che per la loro autorevolezza all’interno dei mondi di provenienza e per la loro esperienza i tre coordinatori debbano proseguire il lavoro e garantirci quell’integrazione complessiva che richiede ancora un po’ di tempo.

Dunque è contrario al coordinamento unico?

Chi pensa ad un eventuale coordinamento unico lo doveva dire al congresso dove abbiamo elaborato e approvato lo statuto. E lo statuto prevede un coordinamento fatto di tre persone nominate dal presidente. Era quella la sede per dire che questo schema non andava bene e proporne uno alternativo, in quel caso ne avremmo discusso, si votava e di decideva se era meglio il coordinamento unico.

Tuttavia c’è la norma transitoria dell’articolo 12 che prevede modifiche allo statuto.

Certo si può intervenire, ma oggi non c’è bisogno di un coordinatore unico, ce ne sarà bisogno in futuro ma per questo servono anni anche perché adesso una simile ipotesi creerebbe all’interno del Pdl una maggioranza e un’opposizione. Comunque, se c’è qualcuno che lo vuole proporre, ma non mi sembra di aver visto nessuno che intenda farlo formalmente, chiede la riunione dell’ufficio di presidenza, raccoglie le firme necessarie e porta avanti l’istanza. A meno che il coordinamento unico non venga proposto da Berlusconi, Fini o dai tre coordinatori che hanno il potere e la forza per farlo, ma non mi sembra sia questo il caso.

Nella ridda di ipotesi sui nomi dei potenziali coordinatori unici circolata in questi giorni è girato anche il suo nome nel ruolo di vice. Cosa risponde?

Io sono abituato a pensare che quando circola il mio nome ciò accade per togliermi di mezzo, non per premiarmi. E comunque non ho né l’età né le capacità per fare il coordinatore nazionale.

Il caso Miccichè-partito del sud non pare chiuso definitivamente perché dopo il capitolo dei Fas per la Sicilia il sottosegretario starebbe rivendicando per un suo fedelissimo la poltrona di coordinatore regionale del Pdl. Lei che idea si è fatto?

Miccichè ha posto una questione seria offrendo una soluzione sbagliata cioè un gruppo o un partito autonomo rispetto al Pdl. Io sono pronto a seguire tutti coloro che sollecitano maggiore attenzione per il Mezzogiorno, tant’è che come gruppi parlamentari alla Camera e al Senato abbiamo elaborato un documento ed io ho lavorato alla tesi di un’Agenzia per lo sviluppo sotto l’egida di Palazzo Chigi per governare il processo di rilancio del Meridione, ma non sono pronto a seguire chi pensa di poter creare fratture nel partito. Quanto alla questione del partito in Sicilia, siccome non sono eletto in quella regione né faccio parte del gruppo dirigente locale, non ho gli strumenti di conoscenza necessari per una valutazione.

Nel Pdl sono in molti a sollecitare un maggiore raccordo tra governo, gruppi parlamentari e partito.

Ce ne sarebbe bisogno però non è stato mai facile per nessuna forza di governo. Un maggiore raccordo ci vuole perché si corre il rischio che il governo svolge correttamente la sua funzione dinanzi agli impegni con gli elettori, il partito lo rincorre politicamente e i gruppi parlamentari si ritrovano a gestire le grane quando arrivano in Aula.

State lavorando a una soluzione?

Bè, noi siamo i terminali, quelli che stanno in trincea. Aspettiamo di essere convocati.

Quali priorità metterebbe nell’agenda di settembre di governo e maggioranza?

Economia, Sud e una valutazione sulla possibilità concreta di riannodare i fili di riforme condivise con l’opposizione.

Tra meno di un anno le regionali nella sua terra, la Campania. Che succederà?

Che vinciamo le elezioni.

Sì, ma con quale candidato presidente?

Il Pdl è in condizioni di vincere le regionali. Si tratta di mettere in campo il candidato presidente e la classe dirigente giusta per intercettare il consenso per il nostro partito. A settembre ci lavoreremo e credo che per i primi di ottobre avremo il nome del candidato.

Le faccio io qualche nome di “papabili”: il ministro Carfagna, il deputato e coordinatore regionale Cosentino, il presidente degli industriali campani Lettieri. Lei chi preferisce?

Abbiamo molte opzioni. C’è l’opzione politica all’interno della quale c’è anche il ministro Carfagna, anche se non credo sia interessata né credo sia utile la sua candidatura; c’è il leader regionale Cosentino e altre ipotesi. C’è poi l’opzione dell’apertura alla società civile e in quel caso quella di Lettieri sarebbe una bella candidatura. Si tratta solo di decidere la formula, poi la scelta del candidato non è un problema.