Bondi blocca Alemanno e l’edificazione selvaggia di Roma. E fa bene

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Bondi blocca Alemanno e l’edificazione selvaggia di Roma. E fa bene

02 Febbraio 2010

 

L’argomento è di primaria importanza per il futuro di Roma e lo abbiamo già affrontato nella serie di articoli che pubblicammo sul malgoverno veltroniano che ha prodotto il Quaderno dell’Occidentale, Modello Roma, Il grande bluff. 
Malauguratamente non sembra che sia stato debitamente affrontato con il cambio di Giunta. Alemanno e il suo assessore Corsini si lamentano del sacrosanto vincolo posto dal ministro Bondi su ciò che resta dell’Agro romano, esempio di paesaggio stratificato conosciuto in tutto il mondo. Ospitiamo in Benedetta Roma questo intervento di Nicola Melchiorri, che condividiamo e rilanceremo sul tema seguendo l’evolversi degli eventi. Per chi volesse avere un quadro della situazione edilizia romana, con qualche dato molto significativo, rimandiamo proprio all’articolo che pubblicammo ormai due anni e mezzo fa, 
L’economia romana cresce. Nonostante Veltroni,  purtroppo ancora attualissimo.

(Benedetto Marcucci)

Con grande scorno della giunta Alemanno, e in particolare dell’assessore bipartisan Marco Corsini, il ministro Bondi ha firmato il vincolo di tutela per l’agro romano. 5.400 ettari di terreni agricoli, compresi tra la via Pontina e la consolare Laurentina, dove il piano regolatore del Comune di Roma approvato in extremis dalla giunta Veltroni prevedeva l’asse portante dell’espansione urbanistica della Capitale verso il mare, sono stati così dichiarati di interesse pubblico paesaggistico. I cantieri edilizi, fermi da sei mesi in attesa di questa decisione, sono ora prossimi alla chiusura definitiva, a meno di un’eclatante sentenza del Tribunale Amministrativo del Lazio che, accogliendo il ricorso capitolino, ribalterebbe il dettato costituzionale che affida allo Stato e alle Regioni la tutela del paesaggio.

Sciolto l’equivoco di ogni retro pensiero politico – il gruppo Caltagirone ha messo in chiaro di non possedere nemmeno un metro quadro all’interno dell’area vincolata, smontando così l’ipotesi di un’azione mirata a colpire suocero affinché genero intenda – resta da comprendere appieno il significato di una scelta che in apparenza limita lo sviluppo economico e sociale di Roma, ma in realtà è il punto di partenza dal quale ripensare il modo in cui deve crescere la città. Siamo certi di volere, sulla spinta di una non meglio precisata emergenza abitativa, nuovi insediamenti suburbani destinati a essere come Spinaceto, Cinecittà, Tor Bella Monaca, Centocelle, Tor Vergata, Torre Angela, Borgata Fidene, Colli Aniene, Vigna Mangani, quartieri nati senza scuole, collegamenti viari, servizi pubblici di trasporto, a volte senza allacci alla rete idrica e fognaria? Insediamenti disordinati, solo dopo decenni recuperati a fatica alla collettività con oneri non indifferenti per le casse comunali, dove degrado e povertà erano la regola. O vogliamo piuttosto ripetere gli errori di Porta di Roma e Castel Giubileo, dove migliaia di persone vivono unite alla città da una sola arteria consolare ormai perennemente intasata?

Edificare poi a scapito di un territorio che, esclusi alcuni isolati abusi, ha conservato integro un carattere originario in cui è possibile leggere in maniera continua la sua storia insediativa, dai casali del Settecento fino alle aziende agricole delle bonifiche degli anni Trenta del Novecento, appare inoltre quanto meno una scelta sconsiderata. Non è di questo che ha bisogno una metropoli del ventunesimo secolo, il cui patrimonio abitativo è spesso obsoleto e fuori norma. Serve piuttosto il coraggio di percorrere altre strade, favorendo la riqualificazione degli abitati o, in alcuni casi, la loro integrale ricostruzione per avere edifici più moderni, improntati a scelte di risparmio energetico e a una più razionale dislocazione degli spazi interni e esterni delle abitazioni.

Molto del costruito nel dopo guerra fu realizzato sulla spinta della necessità di dare una casa ai cittadini che l’avevano persa, palazzi venuti su in fretta e male, ora bisognosi di seri interventi di riqualificazione. Certo, questo non porterà nelle casse del Campidoglio gli introiti degli oneri di urbanizzazione, tra l’altro recentemente spesso elusi dagli imprenditori edili con espedienti fantasiosi: a Milano la giunta Albertini, ad esempio, preferì la costruzione da parte del Gruppo Pirelli RE del Teatro degli Arcimboldi all’incasso di 70 milioni di euro per il nuovo quartiere della Bicocca. Ma eviterà senz’altro ai romani di rimpiangere di aver assecondato le spinte di un mercato immobiliare spesso speculativo, ritrovandosi a fare i conti con un paesaggio non più agreste bensì fatto di enormi caseggiati, magari semidisabitati perché invenduti causa crisi, popolati da infelici che per arrivare in città dovranno percorrere a passo d’uomo la Laurentina a una sola corsia o aspettare sconsolati l’arrivo del 703.