Boom di delitti d’onore. Siamo in Iran? No, in Inghilterra

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Boom di delitti d’onore. Siamo in Iran? No, in Inghilterra

06 Dicembre 2011

Aumento del 47% dei crimini d’onore in un solo anno. 2.823 “incidenti” nel 2010, registrati nelle 39 stazioni di polizia che hanno partecipato alla statistica e che sommati ai 500 in cui sono intervenuti agenti di altre aree porta a oltre 3.300 il totale. Omicidi, mutilazioni, pestaggi, rapimenti, sfigurazioni con acido. No, non stiamo parlando dell’Iran ma della Gran Bretagna, dove le parole “onore” e “tradizione” pendono come spade di Damocle sulle teste di migliaia di giovani donne britanniche di origini turche, curde, iraniane o pakistane.

Dei numeri degni del paese islamico più integralista che si possa concepire ma che, a rigor del vero, svelano tutt’altra realtà: quella di un Paese democratico e all’avanguardia per molti aspetti ma che sta pagando a un prezzo alto le politiche troppo permissive in fatto di immigrazione. A fare luce su queste cifre è stato il rapporto pubblicato lo scorso 3 dicembre e redatto da Ikwro (Organizzazione per i diritti delle donne iraniane e curde) che offre consulenza alle donne musulmane che vivono nel Regno Unito che si trovano a subire matrimoni forzati, violenze dettate dall’onore, mutilazioni genitali e violenza domestica.

Un esempio su quanto l’onore valga più della vita valga su tutti: quello di Banaz Mahmod, la giovane di origini pakistane uccisa nel 2006 nel Bresciano per il suo stile di vita troppo “occidentale” malmenata, violentata e strangolata da due cugini per ordine del padre e dello zio che non approvavano il suo fidanzamento e volevano che la ragazza rispettasse l’accordo precostituito coattivamente dalla famiglia da quando aveva sedici anni e che prevedeva un matrimonio combinato e il ruolo forzato di moglie e madre oppressa.

Secondo il documento sono cinque le aree con la concentrazione più alta di casi: Londra 495 “incidents”, West Midlands inclusa Birmingham 378, West Yorkshire incluse Bradford e Leeds 350, Lancashire 227 e Manchester 189. Tutte zone, guarda caso, che registrano la presenza del maggior numero di immigrati musulmani.

Secondo il direttore di Ikwro, Nammi Diana, “Il problema è che non c’è nessun tipo di preparazione per la polizia e le forze governative britanniche su come affrontare questa situazione. In alcuni casi, gli agenti e alcune organizzazioni aiutano i soggetti vittime di violenza, ma solo per un breve periodo di tempo”.

Questo allarme arriva sulla scia di un altro rapporto che dimostra che decine di migliaia di immigrati musulmani in Gran Bretagna praticano bigamia o poligamia per ricevere maggiori benefici dallo stato.  La relazione, datata 24 settembre 2011, evidenzia come queste due formule matrimoniali, sebbene punibili fino a sette anni di carcere dal governo britannico, siano di fatto più diffuse di quanto si pensi. Ci sarebbero almeno 20.000 sindacati bigami o poligami islamici in Inghilterra e Galles. Ciò implica che circa 300.000 persone vivono in famiglie poligame in Uk.

Per quanto riguarda i matrimoni forzati si parla, secondo i risultati  una ricerca condotta dal Dipartimento per l’Educazione britannico risalente al luglio scorso, di 8.000 donne costrette ogni anno a subirli. Senza contare che questa cifra, già di per sé spaventosa, trascura quella fetta di vittime che non denuncia il reato – perché di questo si parla – per paura.

Quello che alimenta questo fenomeno (spaventosamente) multiforme sono le politiche multiculturali inglesi che riconoscono diritti speciali agli immigrati musulmani che chiedono che la sharia si traduca in legge britannica e che il sistema di welfare si trasformi in benefits. Un sistema, questo, che rischia di crescere ancora silenziosamente e che condanna le donne islamiche d’Inghilterra a un destino peggiore di quello che le attenderebbe sotto il regime di un Ahmadinejad. Sì, perché si trovano in un Paese occidentale e democratico per eccellenza.