Boris Eltsin, grandi opere e grandi errori
23 Aprile 2007
di redazione
Intervista a Victor Zaslavsky
di Emiliano Stornelli
Nel bene e nel male, quella di Boris Eltsin è stata senza dubbio una delle principali figure politiche della storia russa. Il suo decennio è stato caratterizzato da grandi opere e da grandi errori. “Tutti hanno in memoria l’immagine di Eltsin che in piedi su un carro armato si oppone al tentativo di golpe dell’agosto del ’91 – dice all’Occidentale il professor Victor Zaslavsky, docente alla Luiss ed esperto di questioni russe -, ma bisogna anche ricordare il suo coraggio nella lotta per l’indipendenza della Russia”. “Il suo merito principale”, prosegue Zaslavsky, è stato quello “di aver capito che l’epoca degli imperialismi era ormai giunta al termine e che l’Unione Sovietica non avrebbe potuto conservare la sua integrità”. Il ruolo di Eltsin, infatti, è stato determinante nel favorire la disintegrazione pacifica dell’Unione Sovietica. “Fosse stato per Gorbaciov – rileva Zaslavsky – Mosca sarebbe scesa in guerra con i paesi baltici, con la Georgia, l’Ucraina e perfino con le repubbliche dell’Asia Centrale, dove si era insinuata la minaccia del fondamentalismo islamico. Gorbaciov avrebbe combattuto le spinte separatiste fino all’ultimo per salvare l’Unione Sovietica. Ci sarebbero state dieci Cecenia, non una”.
Luci ed ombre, invece, si riflettono sulla transizione dell’economia russa dal sistema comunista a quello di mercato. Secondo Zaslavsky, la vicenda delle privatizzazioni è stata gestita da Eltsin “nella peggiore maniera possibile”. Al di là dei fatti di corruzione che hanno coinvolto anche l’ex Presidente con la famiglia e l’intero entourage, “la vendita delle aziende di Stato è stata gestita con grave incompetenza e irresponsabilità”. Ad ogni modo, è sbagliato ritenere Eltsin colpevole della crisi economica che si è abbattuta sulla Russia alla fine degli anni ’90. “Eltsin – afferma Zaslavsky – ha lasciato la presidenza proprio nella fase di maggior ribasso del ciclo economico. Putin ha poi approfittato della ripresa fisiologica dell’economia, trainata dagli investitori privati che si erano fatti spazio nell’era di Eltsin, per espandere e consolidare il suo potere”. L’economia di mercato, dunque, ha attecchito con successo in Russia anche grazie alle riforme operate nel decennio eltsiniano.
Meno successo, d’altro canto, ha avuto la transizione politica verso l’adozione di standard governativi liberaldemocratici. Con Eltsin la democrazia procedurale ha messo certamente radici in Russia, ma il momento di un vero pluralismo non sembra ancora arrivato. In realtà, i metodi di Putin, mette in chiaro Zaslavsky, “riflettono specularmente quella che, in generale, è la cultura politica russa. Il consenso di oltre il 70% della popolazione nei suoi confronti è indicativo. Diciamo che quello di Putin è un autoritarismo morbido, espressione democratica di una maggioranza dalle inclinazioni poco democratiche. La Russia è vero che sconta un grave deficit di cultura liberale, ma – spiega Zaslavsky- non si può pretendere di più da un popolo che per almeno quattro generazioni è stato escluso dalle trasformazioni politiche e sociali che invece si sono realizzate in Occidente”. È una questione di tempo, insomma, “in attesa di un cambio generazionale che porti definitivamente a compimento il processo di transizione verso la democrazia”.