Borse di studio per gli Usa a studenti supporter di Hamas

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Borse di studio per gli Usa a studenti supporter di Hamas

19 Giugno 2008

Il governo israeliano aveva congelato sei borse di studio per gli studenti di Gaza. La situazione si è sbloccata e i giovani palestinesi voleranno regolarmente nelle università americane. Ma come si combatte la segregazione scolastica senza tradire la questione della sicurezza? 

Sembra che il segretario di stato Condoleezza Rice sia rimasta molto turbata leggendo l’articolo del New York Times che accusava il Dipartimento di Stato di impedire ai palestinesi di studiare nelle università americane. Colpa delle rispettive burocrazie, israeliana e americana, che avevano messo in stand-by il programma Fulbright dopo il blocco militare imposto a Gaza. La Knesset ha protestato, alcuni docenti israeliani lo hanno definito un boomerang per Olmert, secondo il ministro della Difesa Barak è stato un “imbarazzante misunderstanding” con gli Usa. Così le autorità di Gerusalemme hanno concesso i primi 4 visti ai ragazzi. “A gennaio, quando è caduta la barriera tra Gaza e l’Egitto, ho represso il desiderio di fuggire dai miei genitori per non compromettere il Fulbright”, ha detto felice Hadeel Abu Kawik, una promettente ingegnere informatico palestinese di 23 anni.

Il Times ha esaltato “la benvenuta vittoria” per Israele che in questo modo educa i giovani alla speranza e non al martirio. La campagna di sensibilizzazione del giornale è proseguita: “Ci sono centinaia di altri studenti meritevoli intrappolati a Gaza dalle stesse autorità che hanno bloccato le borse”. Un ufficiale israeliano ha rilanciato: “Altri studenti lasceranno la Striscia per studiare all’estero, in numero molto limitato”. Secondo il Times è la direzione giusta. Circa 600 studenti hanno vinto borse di studio all’estero. Quando partiranno? “Israele ha il diritto e il dovere di difendersi e combattere il terrorismo di Hamas – scrive Ethan Bronner – ma punire gli studenti e ogni altra forma di punizione collettiva provocherà solo più odio e maggiore violenza”. Del resto il governo israeliano ha tutto l’interesse  di mandare a studiare i palestinesi nelle università occidentali per strapparli all’indottrinamento locale. 

Fin qui la grandeur solidale del Times. Ma dietro l’idolatria per i viaggi-studio all’estero, sotto l’invocata mobilità tra professori e studenti di nazionalità diverse, non c’è una leggera sottovalutazione delle esigenze di sicurezza che contraddistinguono paesi in guerra? Il mondo non è fatto solo di candidi nerds con centodieci e lode mossi unicamente dall’amore per la conoscenza. Tra loro potrebbero infiltrarsi quelli che, nel migliore dei casi, faranno propaganda attiva per Hamas. Una circostanza che pone un bel dilemma agli Stati Uniti: e se con il Fulbright finanziassimo il terrorismo? Dal 2000 a oggi il programma ha selezionato 280 studenti. I controlli in Israele sono ferrei, lo Shin Bet si occupa personalmente di interrogare e verificare l’identità dei borsisti. Quando arrivano in America i ragazzi non sfuggono alle maglie di altre agenzie, insomma la loro non è una vita facile, non è facile per niente. 

Il fatto è che un fiancheggiatore di Hamas o dei Fratelli Musulmani non ce l’ha scritto in fronte come la pensa. Nel 2004 Abu Sway era un docente palestinese che insegnava alla Florida Atlantic University grazie al Fulbright. Fu accusato di essere “un noto attivista” di Hamas. Lui se la prese tanto ma così tanto da riesumare il maccartismo e la caccia alle streghe.

La Florida University non mosse un dito per indagare e i giornali locali lo descrissero come un non-violento che diceva di “avere cari gli ebrei”.

Le fonti israeliane raccontano un’altra storia. Sway avrebbe raccolto fondi per le organizzazioni caritatevoli collegate ad Hamas con sede a Gerusalemme. In uno studio dell’Institute of Peace del 2003 c’è una prova schiacciante del suo pacifismo: “Immaginare una sovranità condivisa o duplice per la Palestina non è fedele alla tradizione”. Daniel Pipes riporta la citazione di un testo scolastico attribuito a Sway in cui si parla del jihad come un “obbligo militare” che diventa “un dovere religioso individuale di ogni uomo e donna musulmani”. Come il doveroso attentato di Hamas a Gaza che uccise tre agenti americani… della scorta alla commissione Fulbright. 

Mustafa Khalfi è un altro ex borsista. Nel 2003 era una delle firme di punta del marocchino Al-Tajdid. Sul sito web del giornale c’erano diversi link, uno portava alla “Unione di Dio” – ennesimo organismo impegnato nella raccolta caritatevole di Hamas –, altri alla olandese Al-Aqsa Foundation, al francese Comité de Benfaisance et de Secours aux Palestiniens, alla svizzera Palestinian Relief Society, tutte organizzazioni finite sotto il torchio del Tesoro di Washington dopo l’11/9. Khalfi ha scritto che lo Tsunami è stato una punizione divina contro le “corrotte” nazioni asiatiche, mentre l’uragano Katrina ha dato il benservito ai neocon. L’articolo finiva invocando una ecatombe simile anche in Marocco, paese che evidentemente si sta occidentalizzando troppo. Ma come diavolo ha fatto Khalfi a prendere la borsa? Non si meritava una bella visita neurologica? Con tutto il rispetto per i 37 premi Nobel usciti dal programma Fulbright. 

Piccole, importanti parole del Times raccontano un sistema dell’istruzione universitaria palestinese allo sfascio, quasi azzerato dal blocco di Gaza. Questa immagine è storicamente inesatta. Le università palestinesi furono aperte dopo la Guerra dei Sei Giorni nei territori occupati da Israele. Quelli più avanzati avevano auditori, biblioteche e centri di studio che hanno contribuito a formare una intellettualità palestinese laica, socialista e marxista, che oggi occupa posti di rilievo nel sistema accademico europeo.

I campus funzionavano, insomma. Anche oggi l’Università di Al-Azhar a Gaza ospita circa 10.000 studenti, compresi i giovani ingegneri che andranno a specializzarsi negli Usa. 

Il vero problema sono le università aperte da Hamas. Il 13 ottobre del 2000, l’allora rettore della Università Islamica di Gaza, Ahmad Abu Halabiya, disse a proposito delle uccisioni di ebrei e americani: “O fratelli, credetemi, i criminali, i terroristi, sono i giudei, che hanno massacrato i nostri figli, li hanno resi orfani, vedove le loro madri e dissacrato i nostri luoghi sacri. Loro sono i terroristi. Loro devono essere uccisi e massacrati, e Allah disse: Combattili…” eccetera eccetera. Il New York Times ha pubblicato un’intervista al professor Abusada, che insegna Scienze Politiche alla Al-Azhar e odia gli integralisti: “Se prendi un venerdì qualsiasi – dice l’accademico riferendosi ai campus islamici – ci troverai docenti che incitano gli studenti contro gli ebrei, durante la preghiera e nei sermoni degli imam. Usano versi del Corano per spiegare che gli ebrei erano il nemico del Profeta già da millequattrocento anni fa. Non conta se i ragazzi ci credano oppure no, una volta che avranno sentito ripetere centinaia di volte la stessa cosa si convinceranno, specialmente se per farlo vengono usate citazioni del Corano o degli Hadith”. Questo è un appello rivolto a tutti gli studenti e i sostenitori della causa palestinese: eleggete Abusada rettore di Al-Azhar, anzi, per favore, fatelo sindaco di Gaza. 

Perché va bene gli scambi culturali – promuoviamo lo “student to student” e le giornate di solidarietà con l’università palestinese (cioè il boicottaggio di quella israeliana), rallegriamoci se gli studenti ebrei e palestinesi suonano insieme all’Università di Bologna con il Patrocinio della Regione Emilia Romagna e indigniamoci perché “l’assedio” di Gaza ha lasciato senza carta gli editori dei manuali scolastici – ma non piangiamo su “l’affossamento del diritto all’istruzione a Gaza”, piuttosto chiediamoci cosa andavano a raccontare i leader politici palestinesi dieci o quindici anni fa agli studenti di Al-Azhar. Non stiamo parlando di Hamas ma della nomenclatura arafattiana. Nell’aprile del ‘95 il ministro della giustizia dell’ANP, Middein, intervenne all’Università di Gaza: “Gerusalemme è sotto occupazione e i musulmani di tutto il mondo dovrebbero liberarla con il jihad e rimetterla sotto l’autorità araba e islamica” (La fonte di questa citazione e della successiva è il Jerusalem Post). In un discorso del 19 giugno 1995, tenuto sempre nell’aula magna di Al-Azhar, Yasser Arafat disse solennemente agli studenti: “Dobbiamo ricordarci che il principale nemico del popolo palestinese, ora e per sempre, è Israele. Questa è una verità che non dobbiamo mai toglierci dalla mente”. Ad Arafat gli hanno dato il Nobel, figuriamoci se Israele negherà il Fulbright.