Bossi avverte il Cavaliere: “Casini è come Fini, poco utile”
16 Maggio 2010
Umberto Bossi non vede di buon occhio l’ipotesi di un riavvicinamento dell’Udc alla maggioranza. E stoppa sul nascere il filo che, seppure tra mille cautele e nessun riferimento pubblico, sembra potersi riallacciare. Per ora è tutto sottotraccia: contatti, annusamenti, niente di più.
Certo, le aperture di Casini sulla giustizia e il federalismo fiscale restano segnali significativi di un cambio di rotta. Non più il muro contro muro dei mesi scorsi, ma una sostanziale disponibilità a riprendere la via del dialogo. A Montecitorio, ma non solo. Il Senatur però non si fida e del resto con i centristi ha sempre avuto un rapporto piuttosto conflittuale come la storia dei precedenti governi Berlusconi insegna. Ora torna a dire la sua, accomunando Casini a Fini definiti entrambi "poco utili".
Lo fa nel giorno in cui Silvio Berlusconi risponde alle polemiche fuori e dentro la maggioranza, rivendicando i successi del governo e quelli elettorali del Pdl che considera "il vero protagonista" della vita democratica italiana. In un messaggio inviato al convegno dei Riformisti europei organizzato a Palermo da Carlo Vizzini, il premier si sofferma sul feeling del centrodestra con gli italiani che "si fidano di noi, di un governo che raccoglie la loro esigenza di sviluppo, libertà, opportunità e che rende l’Italia protagonista in Europa. Siamo il governo del fare e continueremo a lavorare”, assicura Berlusconi che però non tocca i temi delle inchieste giudiziarie e quello della manovra finanziaria.
Ma se si guarda in controluce, la lettera del Cav. fa capire quale sarà l’atteggiamento nelle prossime settimane. Se ai suoi non nasconde delusione per la vicenda Scajola e preoccupazione per la posizione di alcuni membri dell’esecutivo e della maggioranza, a cominciare da Guido Bertolaso, in pubblico assicura la linea del rigore e della severità nei confronti di chi sbaglia, ma non per questo intende ammainare la bandiera del garantismo, tantomeno far rotolare teste, sulla base di schizzi di "fango mediatico". In questo contesto si comprendono meglio alcune dichiarazioni dei berlusconiani doc.
E’ il caso di Fabrizio Cicchitto che boccia senza mezzi termini la proposta del pasdaran finiano Italo Bocchino di un codice etico per il Pdl nel quale siano previste conseguenze per il politico indagato anche in mancanza di una sentenza definitiva. E’ il caso di Sandro Bondi che va giù duro contro Dario Franceschini ("pensi al Paese" invece di sperare in una "sospensione della democrazia"), già pronto a un governo di emergenza a patto che sia senza Silvio Berlusconi.
O di Francesco Casoli che rispedisce al mittente, cioè al leader Pd Bersani, la richiesta di dimissioni di Bertolaso e Cosentino sottolineando che con "questa opposizione estremista e forcaiola" non ci potrà mai essere un appello della maggioranza a riforme condivise. Una sottolineatura che sembra chiarire anche il senso delle voci circolate in questi giorni su un Berlusconi pronto a lanciare un appello alle opposizioni (e in particolare all’Udc).
Voci che in molti hanno interpretato come una mano tesa all’Udc. Un’ipotesi che, nonostante qualche segnale di disgelo, per ora pare prematura non solo per il Pdl, ma anche per l’indisponibilità dei centristi. Solo tattica? Lo vedremo nei prossimi giorni, certo è che il monito di Bossi dimostra come la Lega potrebbe mettersi di traverso di fronte all’eventualità di un riavvicinamento tra Casini e Berlusconi ed è facile ritenere che le parole pronunciate ieri in riva al Ticino, il Senatur le ripeterà al Cav. nel faccia a faccia settimanale tra i due.
”Ho letto sui giornali che Berlusconi vuole tirare dentro anche Casini; quando c’era lui tutti i giorni combinava un pasticcio e frenava; è come Fini”, tuona il leader del Carroccio che poi misura l’affondo: "Non so se è utile” perché i democristiani ”è meglio lasciarli perdere”. Un giudizio tranchant che suscita la reazione stizzita dei centristi i quali con Giampiero D’Alia dicono che Bossi ”fa come la volpe con l’uva”. Tuttavia, questo non significa che i leghisti, come del resto il Pdl, non guardino con un certo interesse alle mosse dei centristi, se è vero come è vero che Roberto Calderoli in un’intervista a La Stampa ha riconosciuto che l’Udc "ha cambiato atteggiamento" e soprattutto sul federalismo fiscale ha assicurato che contatti ci saranno, "ci parleremo".
Se corteggiamento ci sarà, avverrà comunque in una prospettiva di medio-lungo termine. Nessuna accelerazione, dunque. Il momento è delicato e il Cav. è alla prese con più fronti aperti: le inchieste giudiziarie che hanno toccato alcuni esponenti dell’esecutivo, ma soprattutto la fronda interna al Pdl coi l’ala più oltranzista dei finiani (Bocchino, Briguglio e Granata) che ogni giorno non perde occasione per puntare il dito contro il premier e l’operato del governo (ormai Bocchino spinge al massimo il piede sull’acceleratore delle polemiche e ieri ne ha avute perfino sulla composizione della giunta regionale campana guidata da Stefano Caldoro).
E con gli effetti della crisi economica internazionale che colpisce l’Europa (vedi il caso Grecia) e la manovra finanziaria alle porte, non può permettersi di compiere passi falsi. L’ipotesi di un dialogo con Casini che possa portare a una nuova collaborazione (c’è perfino chi si spinge oltre non escludendo un possibile ingresso dei centristi a Palazzo Chigi) rappresenterebbe indubbiamente un elemento di maggiore stabilità, ma è anche vero che la strada da percorrere per un riavvicinamento tra i due ex alleati è ancora lunga. Bossi permettendo.