Bossi insulta  ma non capisce che è rimasto solo. Maroni riapre la resa dei conti

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Bossi insulta ma non capisce che è rimasto solo. Maroni riapre la resa dei conti

14 Dicembre 2011

La ridotta padana dove si è chiuso Bossi coi suoi, dimostra come la Lega si stia sempre più incamminando sul crinale della demagogia e del populismo rinunciando al proprio standing politico di forza che fino a tre settimane fa era al governo. L’Occidentale se n’è occupato proprio l’altroieri e quanto accaduto al Senato solo ventiquattrore dopo, lo conferma. Dimostra, una volta di più che il Carroccio ormai sa solo urlare e insultare più che parlare e fare politica. La riprova è nella bagarre che ha scatenato a Palazzo Madama insultando tutti, da Monti a Schifani a Napolitano. Abbiamo rivisto senatori impugnare cartelli e agitarsi dagli scranni come si fa davanti a un bersaglio da colpire. Ci manca solo che rispuntino in Aula i cappi di leghista memoria e siamo a posto…

Con Bossi che, evidentemente, scambia il “casino” con la politica se è arrivato a dire – come ha fatto ieri – che quello a Palazzo Madama non era “casino ma politica”. Ci sono molte contraddizioni nella linea del Piave entro la quale il Senatur si sta arroccando, compresi i messaggi ‘celoduristi’ riservati al Cav. che siccome sta “coi comunisti” se vuole fare pace deve dimostralo in Aula. Un problema in più quello della Lega, per il Pdl che sta tentando di ricostruire un nuovo centrodestra nell’ottica del partito dei moderati e vuole usare questa fase di transizione per completare la grande riforma istituzionale che ridisegna l’architettura di uno Stato moderno e di una democrazia ‘piena’ ed efficiente, dove la sovranità popolare non sia quello che la Merkel sta cercando di imporre in Europa: un accessorio del quale si può fare a meno, o comunque da ridurre ai minimi termini.

Ormai è evidente: la Lega di lotta va allo scontro frontale con Monti se perfino il compassato capogruppo al Senato Federico Bricolo ieri ha attaccato con veemenza la “manovra rapina; vergogna, vergogna”. Scalmanato quanto il tutto d’un pezzo Calderoli che sventolava i cartelli padani facendo in modo che i commessi del Senato non potessero rimuoverli. Schifani ha ripreso i parlamentari per le loro intemperanze ma per tutta risposta e per aver osato richiamare all’ordine Bricolo, si è beccato un “pagliaccio” e un “ma vai a cagare” da quel gran signore di un anonimo senatore lumbard. Seduta sospesa.  I vertici del gruppo Pdl, Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, hanno solidarizzato con Schifani stigmatizzando l’atteggiamento degli ex alleati.

Da Montecitorio Bossi ha minimizzato la sceneggiata dei suoi e rilanciato l’idea di una Padania agganciata alla Germania. “Il mio Paese di riferimento e’ la Padania. Tutti ci vogliono perchè la Padania non costa e si mantiene da sola”. E alla domanda dei cronisti su una moneta unica della Padania ha risposto: “E’ presto. Potremo agganciarci a un’altra moneta quando ci sarà l’euro a due velocità. Alla Germania, per esempio”.

Ma che visione politica è? Le contraddizioni del Senatur appaiono sempre più evidenti e stanno nei fatti delle ultime ore: lunedì la Lega ha presentato una mozione sul federalismo fiscale, ieri ha invocato di nuovo la secessione. Un crinale pericoloso, con la prospettiva (incomprensibile) di diventare una provincia meridionale di un’Europa a trazione tedesca. Ma realmente, questo disegno può affascinare il popolo del Nord anche se ci si dota di un ambasciatore (magari Tremonti) a Berlino con l’incarico di difendere gli interessi della Padania?

Tutto ciò senza capire cosa è oggi l’Europa e cosa deve diventare, cioè senza un’idea chiara del contesto in cui stiamo vivendo. Contesto nel quale la crisi mondiale nata in America ha oltrepassato l’Oceano e scardinato molti paradigmi dell’Occidente. Per dirla con Gaetano Quagliariello che su questo concetto sollecita una riflessione profonda da parte del Pdl “dobbiamo capire se l’Europa è ancora quella che avevano immaginato De Gasperi, Adenauer, cioè con una identità forte e un’anima cristiana e quella che in un tempo più recente hanno immaginato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, oppure se l’Europa è quella che viene fuori dagli accordi di Bruxelles, cioè un’Europa intergovernativa che basa il suo patto su vincoli posti nelle Costituzioni degli Stati membri”. Insomma, il punto vero per il vicepresidente dei senatori Pdl, è comprendere se questa limitazione della sovranità popolare serve e a cosa serve. O se, invece, non serva magari a far nascere un’altra forma di sovranità.

In questo contesto, la politica non può sparire né stare a guardare. Deve, piuttosto, darsi degli strumenti per “rendere la democrazia più efficiente”. Terreno sul quale Quagliariello da un lato invita il Pdl ma anche la Lega (“che dovrebbe comprendere l’opportunità che abbiamo davanti”) a lavorare in questo anno che resta prima del 2013 e dall’altro sollecita la sinistra a darsi una mossa, “ad avere uno scatto riformista” senza reggere il moccolo a chi cavalca l’onda lunga dell’anti-casta, guardando al ‘dito’ degli indennizzi dei parlamentari e non alla ‘luna’ di una riforma costituzionale che è già agli atti e porta la firma di Berlusconi e Bossi e già contiene  il dimezzamento del numero dei parlamentari che è una parte, non il tutto di una riforma pensata per modernizzare il Paese. In quel testo ci stanno, ad esempio, maggiori poteri all’esecutivo e  un bicameralismo funzionale che assegna a Camera e Senato specifiche competenze per evitare che per approvare una legge ci vogliano mediamente centinaia di giorni, introducendo un solo passaggio parlamentare.

Bisognerà vedere se la Lega rinnegherà quel testo, se deciderà di abbandonarlo per tornare a urlare e basta. Nel frattempo, proprio nel Carroccio si riapre la questione maroniani-cerchisti magici. Una mossa a sorpresa, almeno sentendo i commenti dei bossiani di ferro, quella dell’ex ministro dell’Interno che ieri ha squadernato la pratica del cambio del capogruppo di Montecitorio, invocando la logica dell’avvicendamento (dopo il redde rationem tra Reguzzoni e un maroniano, sventato per un soffio qualche mese fa), già delineata dal Senatur per dicembre, ma poi rimasta in freezer.

L’occasione è stata la riunione dei gruppo alla Camera nella quale Maroni ha chiesto una assemblea per indicare un nuovo capogruppo. Tutto ciò proprio quando le due anime del Carroccio si erano ricompattate all’opposizione sotterrando (almeno per il momento) l’ascia di guerra. Durante la riunione non ci sarebbero state rivendicazioni e Reguzzoni ha tenuto botta dicendo che su questo l’ultima parola è quella del capo, ma i parlamentari schierati nelle due fazioni hanno letture diverse. Per alcuni la mossa di Maroni era in un certo senso attesa dopochè il ‘parlamento’ padano a Vicenza gli ha affidato l’incarico di passare ai raggi X l’operato del governo Monti. Per quelli del cerchio magico è stato un fulmine a ciel sereno, oltretutto lanciato quando Bossi non era presente.

Ma in ballo c’è anche la partita del Copasir nella quale la Lega rivendica la presidenza in quanto unico partito all’opposizione. Anche qui i maroniani sono in movimento: se nei giorni scorsi l’ex ministro dell’Interno era dato in pole position, dopo la richiesta sul capogruppo non pare più così lanciato. I rumors di Palazzo dicono che alla fine potrebbe esserci uno scambio tra Reguzzoni al Copasir e Maroni alla guida del gruppo di Montecitorio ma di certo non c’è nulla. Scenari in movimento.  

Di certo, invece, c’è che oggi il Cav. e Bossi si incontreranno (dopo i reiterati rifiuti del Senatur) per un chiarimento. Berlusconi non vuole chiudere l’alleanza con la Lega ma non vuole nemmeno seguirla sullo stesso terreno. In gioco non c’è solo il contingente, ma anche il futuro del nuovo centrodestra. Da qui al 2013.