Bossi non scommette sul sorpasso al Nord. Nel Pdl mosse tattiche tra Fini e il Cav.

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Bossi non scommette sul sorpasso al Nord. Nel Pdl mosse tattiche tra Fini e il Cav.

26 Marzo 2010

Un occhio a Bossi e uno a Fini. E’ la frase ricorrente nei ranghi pidiellini nella settimana elettorale che più di ogni altra ha fatto alzare la temperatura dentro il partito. Da un lato, il rischio di un sorpasso della Lega al Nord che Bossi sbandiera negli ultimi comizi prima del voto ma che nel Pdl si tende a ridimensionare; dall’altro il botta e risposta a distanza tra il premier e il presidente della Camera sul partito e sulle riforme, vedi il presidenzialismo, sono i temi che anche ieri hanno tenuto banco nel centrodestra.

La Lega sposta in avanti l’asticella del voto puntando a incassare più voti dell’alleato al Nord. Prospettiva possibile in Veneto, affatto scontata in Lombardia e Piemonte. Ma il Pdl non ci crede e smorza gli entusiasmi padani. Se  fa buon visto a cattiva sorte nella regione che Galan consegnerà a Zaia (dove il rischio è più alto), cercando comunque di attrezzarsi per restare il primo partito, tiene il punto su un concetto-chiave: la forza e il consenso di un partito nazionale rispetto al profilo di un movimento che resta a vocazione territoriale.

Al netto dei toni propagandistici che accompagnano gli ultimi fuochi della campagna elettorale, la sfida al Nord è tutta appannaggio del centrodestra. Pure in Piemonte, considerata una delle regioni in bilico, di quelle che la sinistra lunedì potrebbe veder sparire dal novero delle undici che finora amministra. A Milano Umberto Bossi chiude la campagna elettorale con Roberto Formigoni (Pdl),  sicuro che i “suoi” Cota e Zaia saranno i prossimi presidenti in Piemonte e Veneto, ma non si sbilancia con altrettanta granitica certezza sulla possibilità che la Lega superi il numero dei voti del Pdl.

Il ricorso alla prudenza del Senatur, tra i parlamentari pidiellini viene letto come un segnale preciso. Della serie: meglio evitare di mettere troppa carne al fuoco prima di averla servita nel piatto. Anche Cota usa la stessa prudenza del “capo” sulle previsioni post-voto, evidenziando piuttosto che un rafforzamento del suo partito non sarebbe un problema né a Torino nè a Roma, da un lato perché la Lega “è forza di governo e alleato leale”, dall’altro perché l’obiettivo è sconfiggere la Bresso, “non fare la guerra al Pdl”.

La conferma, insomma che spingere sull’acceleratore della propaganda non corrisponde automaticamente a un dato già acquisito. Ne è convinto Gaetano Quagliariello quando ricorda che il Carroccio è “un partito territoriale” e che rispetto al Pdl  “nel migliore dei casi il rapporto è tra una forza politica del 35 per cento e un’altra data al 10 per cento”. Come dire che il Popolo della Libertà ha un peso su scala nazionale tre volte superiore a quello del Carroccio e dunque il confronto non può reggere.

Certo, in Veneto la competizione tra alleati è molto forte perché entrambi i partiti pescano nello stesso serbatoio di voti ma la sfida in questo caso, fa notare il vicepresidente dei senatori Pdl, si gioca sulla capacità del Pdl di attrarre il maggior numero di elettori, forte anche dei risultati raggiunti in quindici anni dal governatore uscente Galan.  E ancora: “Se perfino in Piemonte dove la Lega ha il candidato presidente il rapporto col Pdl resta dil due a uno di cosa ci dovremmo preoccupare? A me interessa di più vincere in cinque regioni rispetto al fatto che la Lega possa crescere di mezzo punto percentuale” chiosa.

Obiettivo possibile?  Quagliariello non ha dubbi, nemmeno quando esclude l’ipotesi che un’eventuale avanzata massiccia del Carroccio al Nord possa in qualche modo incidere sugli assetti del governo a Roma. “Bossi capisce di politica molto più di altri alleati, passati e presenti. Per questo, sa che non è opportuno mettere in fibrillazione il quadro politico nazionale in relazione all’esito del voto”. Un modo elegante per ricordare che sul piatto dell’alleanza ci sono le riforme cui Bossi tiene di più e tra queste, l’attuazione del federalismo fiscale che in Parlamento passerà anche e soprattutto grazie ai voti del Pdl. Quanto alla poltrona di Zaia al ministero dell’Agricoltura che Bossi vorrebbe mantenere in quota padana, il senatore pidiellino rimanda agli accordi già siglati tra il Cav. e il Senatur in base ai quali se Zaia e Cota saranno eletti governatori , la Lega lascerà libera quella casella.

Da via dell’Umiltà, anche Sandro Bondi non teme “che il Carroccio accresca i propri consensi, anzi lo riteniamo nelle cose possibili. Lavoriamo per fare in modo che questo incremento di consensi della Lega non venga a detrimento del Pdl”. E l’obiettivo è darsi da fare affinchè “il nostro, resti il partito di maggioranza relativa in tutte le regioni d’Italia comprese quelle del Nord, anche perché  siamo convinti che il consenso e il successo del Pdl garantiscano il cambiamento, le riforme ma soprattutto la governabilità e la stabilità del nostro paese”, sottolinea il coordinatore del Pdl. Come fanno anche gli altri due triumviri del partito: per Denis Verdini non c’è motivo di preoccuparsi dal momento che in Piemonte e Lombardia “il Pdl è fortemente radicato” e che “nelle elezioni regionali vincono le coalizioni, non i partiti”, mentre Ignazio La Russa la mette sul filo del paradosso usando una battuta dal sapore scaramantico: se mai dovesse avvenire una cosa del genere, si dice pronto a mangiare un asino.

Il dossier Berlusconi-Fini. Il Cav. prova a smorzare le fibrillazioni e a contenerne gli effetti, specie tra i suoi e nell’elettorato di riferimento. Da Bruxelles dice di non avere contrasti col presidente della Camera sul presidenzialismo. Non ha avuto occasione di parlarne con lui e spiega di aver fatto solo "dichiarazioni rispondendo a delle interviste. Per quanto mi riguarda non c’è nulla di contrasto e non ho mai detto una parola negativa al riguardo".

Piuttosto, ribadisce la tesi che ha sempre sostenuto: "In unpartito del 40 per cento ci sono naturalmente posizioni e sensibilità diverse: quello che è importante è che si discuta e che si arrivi magari ad una decisione e che la minoranza accetti la decisione e il voto della maggioranza". L’auspicio è che non ci siano "contrapposizioni sistemiche, continuative” e che all’interno del partito la minoranza accetti le decisioni della maggioranza.

Ed è in questo passaggio che nelle file pidielline si coglie un riferimento ai distinguo che Fini in questi mesi e su più temi, ha portato avanti con decisione. La stessa che ieri ha mostrato non indietreggiando di un passo rispetto al monito "sull’approccio propagandistico specie per chi ricopre cariche istituzionali” al tema delle riforme. Al punto che cita l’apprezzamento "pubblico" ricevuto da Gianni Letta, quasi a cercare una sponda – autorevolissima e molto ascoltata dal Cav. – per rimarcare la validità della sua posizione a favore di riforme strategiche da condividere necessariamente con l’opposizione.

E anche il contesto in cui lo dice, non sembra casuale: la sottolineatura arriva dopo la partecipazione (una delle poche in questa campagna) all’iniziativa elettorale di Renata Polverini, la candidata che ha fortemente voluto per la sfida nel Lazio, che Fini elogia al pari delle altre avversarie – Emma Bonino e Marzia Marzoli – "per il buon esempio che hanno dato in questa campagna elettorale, che hanno fatto con grande concretezza, all’insegna di un confronto sereno e fermo”.

Profilo molto istituzionale e poco calato nella competizione politica, osservano maliziosamente alcuni parlamentari pidiellini. Per altri, invece, il botta e  risposta a distanza tra Berlusconi e Fini ha il sapore di una mossa tattica. Dopo il voto, il chiarimento. Per ora, nessuno si sbilancia in pronostici. Meglio restare in attesa.